sabato 5 novembre 2011

Il lato oscuro della rete

Alessandro Calderoni

Il lato oscuro della rete: dall’omicidio su commissione, alla droga, alla pedofilia.
Un viaggio nell’iceberg sommerso del web: 550 miliardi di documenti, contro i due miliardi di quelli in chiaro..

Portali per pedofili, negozi di sostanze stupefacenti, killer a pagamento: partendo da zero, bastano poche ore di ricerca on line per trovare il peggio della rete. Certo, il metodo non è il solito: non basta inserire un paio di paroline sul nostro motore di ricerca preferito per sprofondare nella parte cupa del web. Bisogna cambiare mentalità, abitudini di navigazione e tecnologia, e andare alla scoperta del cosiddetto web invisibile, deep web per gli anglofoni. Non è un viaggio che vi suggeriamo, e volutamente eviteremo di spiegarvi nei dettagli come effettuarlo. Però vi raccontiamo cosa c’è là sotto. Nel bene e nel male.

WEB INVISIBILE – Navigare su internet è come attraversare un oceano di dati a bordo di un software. Di solito conosciamo già la destinazione del viaggio o almeno le tappe intermedie, cioè digitiamo un indirizzo web specifico e da lì clicchiamo sui vari link che ci interessano, muovendoci di pagina in pagina. Oppure ci affidiamo a un tour operator, un motore di ricerca come Google: gli diciamo cosa desideriamo e ci lasciamo trasportare da lui, fidandoci dei risultati che ci suggerisce. In entrambi i casi pensiamo che internet sia ciò che vediamo, o che ci viene fatto vedere. Come accade a chi è in crociera, quando finisce col pensare che l’orizzonte e la superficie dell’acqua siano l’oceano nella sua interezza, e dimentica la profondità...

Là sotto lo sguardo non arriva, la nave non si immerge, Google non serve. Esiste un mondo di informazioni sommerse che costituisce appunto il contenuto del web invisibile. I motori di ricerca fanno il loro lavoro usando software automatici che senza sosta raggiungono siti, catalogano link e creano una specie di mappa orizzontale del web. Verticalmente però sono inefficaci: se un contenuto viene generato dinamicamente da un sito in tempo reale (si pensi a una ricerca in una biblioteca), o se non si tratta di testo, o ancora se il sito è scritto in un linguaggio di programmazione non usuale oppure richiede un’azione specifica per diventare accessibile (per esempio l’inserimento di una password), quella pagina sfugge ai motori di ricerca tradizionali. Secondo una ricerca pubblicata sul Journal of Electronic Publishing da M.K. Bergman nel 2001, il web invisibile comprenderebbe circa 550 miliardi di documenti contro uno-due miliardi indicizzati da Google. La proporzione di 500 a 1 sarebbe confermata da una successiva ricerca del 2007 (Bin He e altri su Communications of the Acm) che ha anche individuato un coefficiente di crescita del 300% ogni quattro anni. Cifre a parte, la proporzione tra le due realtà è schiacciante. Fino ad oggi sono stati prodotti più di 380 studi su questo tema (quasi tutti di origine cinese) e sulle tecniche di indagine ed estrazione dei dati dal deep web. Si tratta di un vero oceano di informazioni organizzati sotto forma di contenitori di dati interrogabili dall’utente, più che in pagine web. Nessuna grande pretesa grafica, niente pubblicità, niente di tutto ciò che è l’internet che usiamo tutti i giorni. E’ un po’ come pensare agli archivi di un centro di ricerca universitario e confrontarli con i quartieri alla moda di una metropoli. Altra storia. Nel deep web si trova la maggior parte della cultura scientifica della rete, da lì passano i contenuti sensibili di cui si occupa Wikileaks e sempre lì si riuniscono virtualmente attivisti di ogni forma e specie, da quelli informatici a quelli politici e religiosi. In quel mondo lavorano i governi per sondare i pericoli internazionali e fare prevenzione, vi si impegnano i servizi di intelligence pubblici e aziendali per catturare tendenze in anteprima. Esistono interi mercati dell’informazione con professionisti iperpagati che si trincerano dietro attività dai nomi suggestivi, come data mining o information brokering. Sempre laggiù, ben lontano dalla superficie, si annida anche il peggio della rete, la parte oscura del web, la darknet, come viene definita. E’ una piccolissima parte del tutto, ma c’è. La libertà di pensiero e di espressione in un territorio virtualmente infinito comprende anche gli abusi di chi approfitta di quello spazio, in realtà difficilmente controllabile, per delinquere.

LA DENUNCIA DI ANONYMOUS – Il nostro viaggio parte dal comunicato ufficiale rilasciato on line il 15 ottobre da Anonymous, l’identità collettiva dietro la quale si celano singoli abitanti attivi di internet, accomunati dall’ideale della rete e dotati di grandi competenze informatiche. Per questo li definiscono hacktivisti. Il messaggio rivela i contenuti della cosiddetta Operation Darknet: dieci giorni di lavoro per sferrare un attacco a una lista segreta di siti web non accessibili tramite i normali motori di ricerca e contenenti materiale pedopornografico in abbondanza. Gli hackers mettono temporaneamente fuori uso Freedom Hosting, il server su cui risiede la maggior parte dei contenitori di immagini presi di mira dall’azione, rendendone l’accesso impossibile e risalendo a un database di utenti che sarebbe stato trasmesso alle autorità. In poco tempo quei siti per pedofili si riattivano. Ad alcuni basta ripristinare il backup dei contenuti, altri cambiano indirizzo d’accesso. Tutto torna più o meno come prima, anche se l’intimidazione di Anonymous è stata chiara e almeno è servita a portare alla luce la rete di contenuti illegali. Il punto di partenza è un portale generalista piuttosto indefinibile. Si chiama Hidden Wiki, fa parte del web invisibile, ha molteplici indirizzi (tutti poco affidabili), accedervi richiede pazienza e una trasformazione al software del pc. Occorre installare un sistema di anonimizzazione. Così non solo sei nella parte oscura del web, ma ci vai anche senza lasciare tracce e riesci a vedere nel buio i siti costruiti apposta per quella tecnologia.

PEDOFILIA – Pc anonimizzato, comunicato di Anonymous letto, una buona dose di pazienza e la ricerca comincia: di sito in sito, di forum in forum, di pettegolezzo in pettegolezzo, insuccesso dopo insuccesso, finalmente compare sullo schermo uno dei target attaccati dagli hacker a metà ottobre, su un nuovo indirizzo. Lolita city è un pianeta del dolore. Che per alcune migliaia di utenti registrati è invece un continente del piacere. Il portale propone centinaia di migliaia di immagini e videoclip pedopornografici categorizzati in base ai contenuti. I protagonisti, le vittime, vanno da zero a quindici anni. E zero vuol dire proprio zero, cioè dal momento del parto, come si vede subito da alcune foto piazzate in homepage. La categoria più cliccata è «padri e figlie». Ogni utente viene inserito in una classifica di gradimento della community interna, in base al numero e alla qualità dei contenuti postati. A ciascuno viene assegnata anche una sorta di specializzazione per età, confermata da una grafica stile manga: c’è chi si occupa di prima infanzia e chi invece è un fan della preadolescenza. L’impatto emotivo di questo contenitore di icone irriproducibili è davvero insostenibile: bambini e bambine adultizzati, resi seduttivi, avvezzi alla macchina fotografica; adulti che si scambiano complimenti e suggerimenti in bacheca, spedendosi vicendevolmente con messaggi cifrati ulteriore materiale fotografico. Non c’è cinismo che tenga: compresa la struttura del portale è necessario cambiare schermata. Su un sito analogo, «OnionPedo», navigare è più tollerabile perché non ci sono decine di foto che ti esplodono davanti a ogni pagina. Qui è tutto freddo, rigidamente catalogato e inserito in un database. Scegli età e sesso, ti compare un’infinita lista di contenuti di cui puoi intuire i dettagli dai titoli. Capito il meccanismo, in mezzora saltano fuori dieci siti analoghi. Tutti gratuiti, tutti visitati da migliaia di utenti. L’impressione è che sappiano cosa cercare e dove. Sembra una comunità di residenti, più che un folto gruppo di curiosi.

ARMI, POLITICA E GOSSIP – Naturalmente, lo ribadiamo, i siti pedopornografici sono soltanto una goccia nell’oceano. E anche solamente una minuscola parte della darknet. Bastano pochi click e ci si trova in mondi differenti, anche se crepuscolari. «RespiraTor», per esempio, offre ospitalità ai delatori: chi vuole rovinare la reputazione di qualcuno in modo vigliaccamente anonimo può scrivere testi e piazzare foto compromettenti. Forse le vedranno in pochi, forse no. Difficilmente si risalirà a qualcuno da querelare. «Revolution Bunker» è una sorta di laboratorio rivoluzionario politico-informatico. Sono parecchi i siti di questo tipo, spesso sembrano in disuso o animati da pochi attivisti. LiberaTor è un database di informazioni e manuali per costruirsi un arsenale domestico, confezionare ordigni esplosivi e organizzare agguati e attentati. I contenuti sono inquietanti ma l’atmosfera complessiva fa pensare più a un fanatico o a un paranoico che a un’organizzazione.


DROGA, KILLER E ALTRO – Non tutto è gratis, nella zona oscura della rete. Quando bisogna pagare, serve una valuta speciale: il bitcoin. E oltre tutto serve «pulita», cioè già lavata per non lasciare tracce digitali. Cosa si può comprare? Ce n’è per tutti i gusti, come all’interno di un luna park proibito. Ecco qualche esempio. «Hacker services» mette a disposizione virus informatici per attaccare persone o aziende sgradite, e sistemi di ricerca delle password altrui, per esempio. Interessante ma non così impressionante. C’è di più. «Contract killer» offre omicidi a pagamento, con tariffe dettagliate. Cinquemila euro di spese anticipate per un delitto in Europa, diecimila per una trasferta extracontinentale. L’obiettivo deve avere almeno 16 anni, e il costo dell’operazione è di 20mila euro per una persona normale, 50mila per un poliziotto, un criminale o un paparazzo, 100mila per un boss, un funzionario di polizia o un giornalista, fino a 200mila per un manager. Due mesi di tempo dal primo pagamento per completare la missione. Similmente «Slate», su un altro sito, accetta di colpire solo maggiorenni, esclude le donne gravide e rifiuta qualunque forma di tortura. Opera negli USA, la sua tariffa prevede 20mila dollari, metà subito e metà quando al committente viene inviata l’immagine della scena del delitto. Più un sovrapprezzo se deve sembrare un incidente. Alla stessa maniera si trovano anche veri e propri team di contractors per azioni punitive violente contro target prefissati. L’impressione è che si tratti spesso di soggetti sudamericani e a buon mercato. E poi il mondo della droga. Due siti su tutti: «Eradic» e «Silk Road». A differenza dei killer, per i quali l’incauto cliente dovrebbe fidarsi a occhi chiusi di ciò che legge sul sito, inviando quattrini a un potenziale truffatore, ben sapendo che in caso vada tutto male non potrà certo rivolgersi alla polizia e denunciare un sedicente assassino per avergli sottratto una somma di denaro con l’inganno, nel mondo degli stupefacenti esiste una buona credibilità, se così possiamo dire, grazie ai feedback dei clienti disseminati in giro per la rete. Come in una farmacia virtuale, in pochi istanti è possibile scorrere quasi quattrocento prodotti, con le quotazioni aggiornate e le fotografie delle scorte. Nessun codice segreto, nessuna metafora di copertura. Non è come nel web normale, dove per comprare una sostanza proibita c’è chi va a cercare tra i siti di lucidanti per auto, sperando che alla frontiera o in rete nessuno si accorga che ha ordinato un solvente a base di GBL per berselo a gocce (visto che nell’organismo si trasforma in GHB, detto anche scoop o ecstasy liquida) e non per pulirci i cerchi in lega. Nella darknet le coperture non servono: puoi comprare direttamente LSD, MDMA, hashish eccetera senza alcun problema lessicale. Tanto sei anonimo. Il problema poi è come e dove farti spedire la roba. 
Ma questo è un particolare che non riguarda internet.

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