Dal 6 luglio in vigore la delibera Agcom che consente la chiusura di siti
Lamberto Tuffi
Tutela del copyright online, a questo mira la delibera approvata dall’Agcom (Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni) il 6 luglio scorso. La libertà di pensiero espressa dalla rete rischia l’ennesimo bavaglio? Sono in molti a porsi questa domanda. Le polemiche scaturite dal primo testo della delibera hanno mobilitato tutto il popolo della rete, poiché, in un primo momento, consentiva all’Authority la chiusura di qualsiasi sito web, basandosi semplicemente su segnalazioni di violazione del copyright, senza nemmeno passare attraverso alcuna via giudiziaria.
Qualsiasi titolare di diritti audio-visivi che ne riscontri una violazione su un sito, blog, portale, potrà chiederne la rimozione al gestore, il quale, se la richiesta fosse fondata, avrebbe 48 ore per rimuovere i contenuti incriminati.
Se il gestore non dovesse procedere alla rimozione, ecco entrare in gioco l’Authority: secondo quanto stabilito dalla prima stesura della delibera, al mancato adempimento, doveva essere l’Agcom stessa a disporre la rimozione forzata dei contenuti attraverso una “verifica in contraddittorio con le parti”, da concludere in un tempo massimo di cinque giorni.
Non è tutto: se l’eventuale gestore utilizzato per la pubblicazione del sito web, in gergo informatico Isp (internet service provider), fosse estero, sempre previo contraddittorio, era prevista l’inibizione del sito all’Italia attraverso indirizzo Ip....
Il 28 giugno dalle ore 12, la rete “anonymous”, che raccoglie hacker da ogni parte del mondo, ha preso di mira il sito dell’Agcom rendendolo inaccessibile. Il leitmotiv di tale iniziativa è stato: “internet libero è un diritto che nessuno deve ostacolare”.
Un potere enorme quello del garante, si tutelano editori e professionisti del settore della comunicazione, scoraggiando pirateria e download di materiale protetto, con il rischio di incappare in vere e proprie censure sfavorendo la libertà degli utenti, veri fruitori del web. Adiconsum, Agorà digitale, Altroconsumo, Assonet, Assoprovider e lo studio legale Sarzana hanno promosso una richiesta di moratoria sulla delibera, sottolineando come tale procedura possa divenire un insieme di diktat fortemente in contrasto con la libertà di pensiero garantita in un sistema democratico. Lo stesso avvocato Fulvio Sarzana, curatore del “Libro Bianco sui diritti d’autore e diritti fondamentali nella Rete internet”, sul suo blog dichiara: “Prepariamoci ad avere una Regolamentazione Amministrativa “di frontiera” come l’ha chiamata il Presidente Calabrò, laddove la parola “frontiera” significherà per la prima volta in Europa la possibilità di inibire a cittadini italiani l’accesso a risorse web collocate fuori dal nostro Paese, nonché la rimozione selettiva dei contenuti dei siti web, anche privati, presenti in Italia. Il nostro Paese avrà così il primato europeo della censura”.
Il 16 giugno scorso i commissari dell’Agcom Stefano Martusciello e Stefano Mannoni, intervenendo su Milano Finanza, hanno definito i critici della delibera degli “arruffapopolo che indulgono in tirate di propaganda e disinformazione”, in merito a quanto verrà disciplinato, sempre secondo i due commissari, si è prodotta “una sbornia di demagogia e di pressappochismo”. Secondo i dati del rapporto BSA (Business Software Alliance) redatto in collaborazione con Idc e Ipsos, in Italia il rapporto tra software pirata e legale si attesta al 49%, in Europa sopra di noi solo la Grecia con il 58%. La speranza è che il garante per le comunicazioni possa utilizzare con moderazione l’arma della censura, evitando di eccedere attraverso l’oscuramento.
La delibera ammazza web, così definita dal popolo della rete, il giorno della sua approvazione, è stata leggermente smussata, ma l’Agcom ha davvero fatto marcia indietro?
Forse è presto per dirlo, intanto le nuove modifiche prevedono: “La procedura dinnanzi all’Autorità come alternativa e non sostitutiva della via giudiziaria la quale si blocca in caso di ricorso al giudice di una delle due parti”.
Inoltre il Garante: “non prevede alcuna misura di inibizione dell'accesso ai siti internet”.
L’intero testo è ora posto sotto consultazione pubblica per 60 giorni. Un Paese democratico dovrebbe blindare tali decisioni per evitare il rischio dell’abuso di censura. Generalizzare, facendo di tutt’erba un fascio, potrebbe arrecare forti danni alla filosofia di libertà e condivisione sulla quale si regge l’e-democracy di internet.
Lo stesso Nicola D’angelo, relatore originario del testo, oggi unico voto contrario in commissione, in passato aveva espresso qualche perplessità sui poteri conferiti al Garante; fu sostituito da Sebastiano Sortino, ex presidente della Federazione Italiana Editori Giornali (Fieg).
Sarà l’industria dell’intrattenimento a decidere cosa sia giusto o meno oscurare dal web? Le modifiche effettuate saranno sufficienti per arginare il rischio censura?
Dal 6 luglio l’ombra di un Grande Fratello orwelliano incombe sul web del Bel Paese.
www.ebdomadario.com
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