Ed è proprio nel 1984 che Terry Gilliam gira BRAZIL, una rivisitazione dell’opera di Orwell, il capolavoro di un autore che come pochi altri ha saputo dar valore all’immaginazione, all’elemento onirico in termini tecnici, visivi, narrativi, utilizzandolo come fuga dal conformismo (sociale e filmico).
Quest’anno BRAZIL compie quarant’anni, e l’imprecisato presente distopico di Gilliam sembra solo una leggera esagerazione della realtà contemporanea.
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Il capolavoro distopico di Gilliam che Universal cercò di censurare ora appare profetico: la realtà del 2025 supera la fantasia del 1985.
di Gianluca Riccio
Guardare Brazil nel 2025 fa un effetto strano. Terry Gilliam l’ha girato 40 anni fa immaginando un futuro distopico, ma oggi sembra un documentario sul presente.
La cosa inquietante è che allora sembrava esagerato, oggi è cronaca quotidiana.
Il mondo di "Brazil" è governato dal Ministero dell’Informazione, dove un errore di battitura può costare la vita a un innocente. Sam Lowry lavora in uffici claustrofobici pieni di schermi minuscoli che richiedono lenti d’ingrandimento per essere letti, circondato da tecnologie che promettono efficienza ma producono solo frustrazione.
Non vi ricorda niente? Ogni volta che un sistema automatizzato vi nega un servizio per un “errore tecnico”, ogni volta che un algoritmo vi categorizza male, ogni volta che la burocrazia digitale vi intrappola in loop infiniti di moduli e verifiche, state vivendo l’incubo lucido di Terry Gilliam.
Nel film, Archibald Buttle viene arrestato al posto del terrorista Archibald Tuttle a causa di una mosca morta che cade su una macchina da scrivere. Un banale errore tipografico diventa una sentenza di morte.. Oggi chiamiamo queste cose “bias degli algoritmi” o “errori di sistema”, ma il risultato è lo stesso: vite rovinate da macchine che sbagliano.
Lo stesso Terry Gilliam, intervistato per i 40 anni del film, ha ammesso:
“Non sembra datato. La gente mi chiede sempre come ho fatto a capire che il mondo sarebbe diventato così. Vi bastava tenere gli occhi aperti”.
Il regista ha ragione: Brazil non predice il futuro, fotografa dinamiche già presenti negli anni 80 che si sono semplicemente amplificate.
Harry Tuttle, il tecnico che ripara i condizionatori senza permessi burocratici, è un po’ il Neo di Matrix prima di Matrix: l’eroe che aggira il sistema: l’eroe che aggira il sistema, ma nel mondo di Brazil anche gli eroi sono destinati a soccombere. Tuttle scompare letteralmente, inghiottito dalla carta burocratica che si accumula ovunque. È una metafora perfetta del destino di chi prova a ribellarsi al sistema.
Il Film Forum di New York ha ospitato una settimana di proiezioni della nuova versione restaurata in 4K di "Brazil", curata dalla Criterion Collection con la supervisione di Gilliam stesso.
La cosa più inquietante è che "Brazil" oggi sembra ottimista. Nel mondo di Sam Lowry almeno esistono ancora i sogni, anche quando finiscono male. Il protagonista può ancora immaginare di volare via da tutto questo, di salvare la donna dei suoi sogni. Nel nostro 2025, anche l’immaginazione sembra delegata alle macchine.
Terry Gilliam ha vinto la sua battaglia contro Universal Pictures, ma ha perso la guerra contro il futuro che aveva immaginato. Brazil è diventato un manuale metaforico di istruzioni che qualcuno ha seguito troppo alla lettera.
E la cosa più spaventosa è che manca il finale.
Gianluca Riccio, direttore creativo di Melancia adv, copywriter e giornalista. Fa parte di Italian Institute for the Future, World Future Society e H+. Dal 2006 dirige Futuroprossimo.it , la risorsa italiana di Futurologia. È partner di Forwardto – Studi e competenze per scenari futuri. (Fonte: www.futuroprossimo.it)
Fonte: www.nogeoingegneria.com




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