venerdì 20 giugno 2025

UPE Emission: Che cos’è e come potrebbe rivoluzionare la medicina del futuro

 
Immagina di scoprire che ogni cellula del tuo corpo emette una luce impercettibile, quasi un segreto nascosto. 

È la UPE emission, l’emissione di fotoni ultradeboli biologici. 

Questa luce molto debole è prodotta da tutti gli organismi viventi, dalle piante e dai batteri agli esseri umani. Si tratta di un'emissione estremamente sottile, che coinvolge solo da 10 a 1.000 fotoni per centimetro quadrato al secondo.

Una ricerca dell’Università di Calgary ha dimostrato che questa luce, legata allo stress ossidativo, potrebbe diventare un metodo diagnostico non invasivo.

Vediamo come funziona, perché è importante e quali sfide attendono questa tecnologia ..


L’UPE spiegata in parole semplici: la luce che vive dentro di noi

L’UPE emission non è bioluminescenza, come quella delle meduse o dei lucciole: è molto più debole, quasi impercettibile. Nasce da reazioni chimiche all’interno delle cellule, soprattutto quelle legate alla produzione di energia e alla difesa dallo stress. Questi fotoni, simili alle tracce di fumo lasciate da un falò, sono il risultato di processi biochimici continui.

Un esempio pratico? I ricercatori canadesi hanno osservato che nei topi, dopo il decesso, il bagliore scompare, anche se la temperatura corporea viene mantenuta stabile. Nelle piante, invece, un taglio alla foglia o un improvviso aumento di temperatura attivano un picco di ultra-weak photon emission, come un SOS lanciato dalle cellule in difficoltà. Questo legame tra luce e salute apre scenari inediti: e se bastasse misurare questi fotoni per capire se un tessuto è in sofferenza?

Come si cattura una luce quasi inesistente?

Per intercettare l’UPE emission, servono ambienti privi di luce esterna e tecnologie estremamente sensibili, simili a quelle utilizzate per osservare le stelle più deboli, come le telecamere EMCCD . Nei test sui topi, gli animali sono stati prima analizzati vivi, poi uccisi e riscaldati per escludere il calore come causa del segnale. 

Conclusione? Il bagliore svanisce, confermando che l’emissione di fotoni ultradeboli biologici è un segnale vitale, non un effetto collaterale del calore.
Fonte immagine: www.researchgate.net

Un altro caso: le foglie di Arabidopsis thaliana , una pianta modello per la ricerca, hanno mostrato picchi di attività fotonica dopo lesioni o applicazioni di anestetici. Questo suggerisce che il fenomeno risponde a stress esterni, come un termometro biologico.

Dall’astratto al concreto: applicazioni e ostacoli

Le potenzialità dell’UPE emission vanno oltre la curiosità scientifica. Immagina una diagnosi rapida per individuare infiammazioni croniche o tumori, senza bisogno di biopsie. Oppure un monitoraggio in tempo reale dello stato di salute di un paziente, grazie a immagini generate dai suoi stessi fotoni. 
C’è però un ostacolo: i costi elevati e la complessità degli strumenti necessari, come i sensori a basso rumore e efficienza quantica superiore al 90%.

E non finisce qui. Gli esperimenti sui topi sollevano dubbi etici, e tradurre i risultati dagli animali all’uomo richiederà anni di studi. Tuttavia, l’evoluzione degli strumenti quantistici e l’intelligenza artificiale potrebbero trasformare il processo, rendendo l’UPE una realtà clinica entro il prossimo decennio.

Il futuro? Un equilibrio tra scienza e responsabilità

Per passare dal laboratorio al letto del paziente, servono innovazioni tecnologiche e un dibattito aperto. Dispositivi portatili per rilevare l’emissione di fotoni ultradeboli in ambulatorio? Algoritmi di machine learning che interpretano i dati in tempo reale? Sono obiettivi ambiziosi, ma non impossibili.

Altrettanto cruciale è il confronto sulla sperimentazione animale. Come sottolineano Oblak e Salari, ogni progresso scientifico deve misurarsi con l’etica. Solo così l’UPE emission potrà diventare uno strumento utile e accettabile per tutti.

Conclusione 

L’UPE emission non è solo una curiosità biologica: è uno spaccato intimo del nostro funzionamento cellulare. La ricerca canadese ha dimostrato che questa luce debole ma significativa potrebbe trasformare la medicina, rendendo le diagnosi meno invasive e più precise. Certo, ci sono ostacoli da superare, ma la strada è tracciata. E chissà, un domani potremmo esaminare il nostro corpo non con la sola vista, ma con la luce invisibile che lo anima.

I dettagli della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica The Journal of Physical Chemistry Letters dell’ACS.

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