L'ultima inversione del campo magnetico terrestre si è verificata circa 773.000 anni fa: un nuovo studio ha stabilito che il completamento del processo ha richiesto circa 20.000 anni, confermando una recente ricerca e smentendo diverse stime precedenti che parlavano di poche migliaia di anni o addirittura qualche secolo.
Illustrazione del campo magnetico terrestre (©Science Photo Library/AGF)
L’inversione del campo magnetico terrestre, in cui il polo sud magnetico si scambia con il polo nord, si è ripetuta a intervalli di 200/300.000 anni nella storia del pianeta.
L’ultimo evento noto di questo tipo risale però a circa 773.000 anni fa e ha richiesto almeno 20.000 anni per essere completato.
Lo ha stabilito un gruppo di ricercatori giapponesi guidati da Yuki Haneda, dell’Istituto nazionale di ricerca polare di Tokyo, grazie a una nuova e completa ricostruzione delle variazioni del campo magnetico dell’epoca, illustrata sulla rivista “Progress in Earth and Planetary Science” ...
Il lavoro interviene in un dibattito che si protrae da alcuni anni sulla durata dell’ultima inversione, nota come inversione geomagnetica di Matuyama-Brunhes, dai nomi dei primi geologi che l’hanno studiata.
E conferma sostanzialmente le conclusioni di un recente studio pubblicato su “Science Advances” che aveva fornito una stima di circa 22.000 anni.
Si tratta di un arco temporale molto più ampio rispetto a precedenti stime, che dipendono fortemente dalla posizione geografica degli strati geologici analizzati: la maggior parte di tali stime si attesta tra 4000 e 9000 anni, ma ci sono anche i casi estremi di due studi condotti in Italia, il primo nell’Appennino centrale e il secondo in Calabria, che hanno trovato valori addirittura di circa 100 anni, un lasso di tempo incredibilmente breve dal punto di vista geologico.
Molti di questi studi di paleomagnetismo si basano sull’analisi di campioni prelevati da strati geologici di origine lavica: queste rocce si sono solidificate molto rapidamente e i minerali di ferro al loro interno conservano una magnetizzazione che dipende dalla direzione del campo magnetico terrestre di quel preciso periodo.
Il problema è che le rocce laviche non possono fornire registrazioni paleomagnetiche continue a causa della natura sporadica delle eruzioni vulcaniche. Per questo Haneda e colleghi hanno preso in considerazione il deposito sedimentario di Chiba, una parete a picco su un fiume nell’omonima prefettura giapponese, che anticamente era in fondo all’oceano.
Il deposito è considerato la registrazione marina più dettagliata dell'inversione di Matuyama-Brunhes: secondo i ricercatori, documenta che il campo geomagnetico è diventato instabile almeno 10.000 anni prima dell’inversione e che l’intero processo è durato almeno 20.000 anni.
Più in dettaglio, il polo geomagnetico calcolato sulla base della magnetizzazione dei sedimenti mostra diverse brevi fluttuazioni tra 783.000 e 763.000 anni fa, con diminuzioni concomitanti dell'intensità del campo geomagnetico.
Dopo la fine di questo periodo di instabilità, l'intensità del campo aumenta nuovamente fino ad avere valori più elevati rispetto al periodo precedente all’inversione, con una direzione di polarità normale stabile.
Fonte: www.lescienze.it
Precedente pubblicazione qui: 27/10/2020
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