martedì 17 dicembre 2019

La World History - una nuova branca della storia

Lo scopo ultimo della storia è quello di fornire all’umanità la conoscenza di sé, ecco perché fin da queste prime righe si rende necessario usufruire delle parole di Mr. Collingwood, storico novecentesco, il quale dice: “Il valore della storia è insegnarci che cosa abbia fatto l’uomo e pertanto che cosa sia l’uomo”, infatti, senza la storia non possiamo sperare di capire la nostra vita, in quanto anche la Storia ha una propria Storia.

di Rossana Carne

Questo contorto ragionamento e giro di parole, in realtà, non ha lo scopo di confondere il lettore, bensì quello di portarlo a seguire un ragionamento: Fin dai tempi antichi, infatti, tutte le società hanno raccontato storie sulle loro origini e sulla loro cosmogonia, sulle azioni di Eroi e di Divinità… inoltre, le prime civiltà dotate di scrittura erano solite registrare le gesta dei loro Sovrani, dei loro eserciti e registrare gli aspetti strettamente economici della loro vita quotidiana e sacrale.

Nonostante questo primo approccio allo studio metodologico della storia, però, nessuna di queste civiltà ha mai tentato di esaminare in modo sistematico la verità del passato, infatti, risultava difficile per queste popolazioni distinguere se un avvenimento fosse realmente accaduto o meno, inoltre, a causa della lontananza geografica tra una civiltà e l’altra, nessuna si pose il problema di iniziare a scrivere una storia “globale”.

Quando, di conseguenza, ci si interroga su una porzione di storia più ampia? Quando le civiltà iniziano ad entrare in contatto tanto da subire influenze esterne e a loro volta influenzare? ...



Intesa come “Storia delle connessioni tra comunità”, la World History non si pone come obiettivo quello di analizzare le storie singole di ogni popolo e poi metterle insieme come un puzzle sgraziato, ma privilegia la dimensione transculturale andando ad analizzare tutti, o quasi tutti, i processi che innescano interazioni tra diversi gruppi umani che siano essi appartenenti alla sfera demografica, a quella delle migrazioni, delle malattie infettive, delle tecnologie, della spiritualità, delle idee o alla sfera economica.

Un primo elemento chiave di questa Storia Globale, o World History, consiste nel trascendere l’unità di analisi tradizionale dello stato, sostituendola con una prospettiva regionale più ampia in termini di spazio, dove si articolano reti costituite da più nodi e non territori istituzionalmente delimitati.

Il proposito di questa nuova storia, ovviamente, non è quello di cancellare il passato o di renderci un popolo unico, ma è quello di rimediare all’inadeguatezza della narrazione convenzionale, che ha come cardine l’ascesa dell’Occidente e dell’occidentalizzazione del mondo. Il focus, quindi, diventa la storia poliedrica, in grado di registrare avvenimenti visti attraverso una prospettiva multipolare anche se lontani diametralmente dall’occidentalizzazione.

Non si tratta più, dunque, di un racconto lineare del mondo al cui centro c’è l’uomo bianco europeo, ma stiamo parlando di un universo ricco di varietà culturali in cui ogni periferia è protagonista: dallo studio delle migrazioni, delle diaspore a quello degli incontri culturali e delle reti transnazionali economiche e sociali in cui l’obiettivo principale è quello di scrivere una storia del mondo capace di raccontare tutte le vicende fin dai tempi antichi.



C’è qualcuno che, in passato, ha tentato questo percorso?

Prendiamo come riferimento Erodoto, storico greco vissuto del 400 a.C. Lui fu il primo a cercare di costruire una cronologia di eventi che coinvolsero i tre continenti allora noti, al fine di preservare la memoria del passato registrando successi e disgrazie dei popoli. Questo, forse, fu il primo valido esempio di trascrizione di una storia a livello universale. Erodoto, infatti, fu il primo a riservare pagine e pagine dei suoi scritti alle vicende dei “barbari”, portando il proprio lavoro ad un’ampiezza di scala e di attitudine cosmopolita senza precedenti e che sarebbero riapparsi in Europa solo a partire dal 700 con Voltaire.

Questo, però, non fu il solo tentativo. È interessante notare, infatti, come anche sul versante opposto del mondo sia nato l’interesse verso la storia universale ed a tal proposito è utile ricordare Sima Qian e Ban Gu, che inclusero nella loro tradizione monastica cinese anche le storie dei popoli nomadi dell’Asia centrale che entrarono in contatto con il Celeste Impero sin dai tempi lontani.

Se questi sono due esempi di un passato inclusivo di tutte le culture, l’inclinazione ad una storia di respiro ecumenico non fu estranea nemmeno all’Islam data l’eccezionale estensione territoriale e umana che, fin dal suo interno, prevede il concetto di una grande Umma, ovvero di una grande comunità di fedeli con un’aspirazione universalistica.


Per quel che riguarda il Cristianesimo?

Bisogna ammettere che anch’esso cercò di operare una “rivoluzione storiografica” introducendo il concetto della creazione, arrivando a porlo come evento centrale e punto di partenza di ogni cosa, ma storia universale cristiana, specialmente dopo il 500, fu costretta a confrontarsi con diversi eventi che ne minarono le basi come la scoperta del Nuovo Mondo da parte di Colombo, il tentativo di inglobare gli indigeni americani e le varie sezionature della Bibbia che la portarono ad essere quella che conosciamo noi oggi.

Proprio a causa di queste manipolazioni e della presa di massa del credo cristiano, tra il XVI ed il XVII secolo si fece strada l’idea di uno schema secolare attraverso cui leggere il passato e che doveva essere diviso necessariamente in: Fase Antica, Fase Medievale e Fase Moderna in modo che il tutto partisse dal punto 0 creato ad hoc dal cristianesimo, ovvero la Genesi.

Sarebbe stato necessario attendere Voltaire per veder fiorire una scuola laica in cui spiccarono figure di storici globali che, nei loro scritti, misero a punto un modello innovativo di storia universale in aperto contrasto con la storia della chiesa e delle grandi corti europee.

L’idea del processo storico maturato in quel periodo, infatti, partiva dal concetto di unità di fondo del genere umano e di emancipazione della ragione umana come graduale conseguimento di livelli di civiltà sempre più elevati. 

Il punto di partenza per gli uomini, dunque, non sono Adamo ed Eva, ma è la facoltà razionale di comprendere quali eventi possono considerarsi veri e quali leggendari al fine di conseguire uno stadio di felicità, caratterizzato dalla completa liberazione della ragione dall’errore.

Questo approccio illuminista alla storia, quindi, ebbe il merito di ampliare gli orizzonti, infondendo negli studiosi dell’epoca un’inclinazione cosmopolita che, da quel momento in avanti, venne presa in seria considerazione dagli accademici tanto da diventare una vera e propria materia di studio a cui seguirono vari tentativi di redazione di una World History. 

Karl Lamprecht e Kurt Breysing furono i primi a promuovere nell’accademia tedesca un modello di storia globale meno eurocentrico, ma il XX secolo era destinato ad un’inversione di tendenza a causa degli sconvolgimenti a livello globale. 
L’accelerazione della globalizzazione e gli esiti delle guerre ebbero un impatto devastante: da un lato, infatti, incoraggiarono le analisi di popoli e culture extra europei, ma dall’altro posero fine alle certezze di superiorità che avevano dominato il Vecchio Continente fino a quel momento.

È proprio a partire da questo punto che emersero anche le figure dei filosofi a supporto della Storia che, a partire dal primo novecento, costruirono modelli teorici tentando interpretare il passato in modo meno enciclopedico. Il loro contributo, in netta rottura rispetto al passato, portò allo sviluppo di una cornice diversa che potremmo definire, oggi, una vera e propria “Rivoluzione Copernicana” in cui lo schema eurocentrico era ormai obsoleto ed in aperto contrasto con la storia policentrica. Oswald Spengler fu il primo filosofo a redigere una storia universale che prendeva in considerazione otto civiltà, ognuna dotata di una vita organica caratterizzata dalle fasi di nascita, crescita, declino e morte.

A sottolineare, invece, la portata storica delle interazioni tra civiltà è stato Arnold Toynbee, autore della storia universale in 12 volumi scritta con un approccio consapevole, maturato attraverso l’analisi politica e l’interdipendenza mondiale causata dalla Grande Guerra.

Oltre a tutto questo è il caso di citare da un lato anche William McNeill che nel 1963 aprì agli storici il concetto del Global Thinking come concetto di cambio di idee, conoscenze e tecnologie; dall’altro gli studi avanzati secondo i quali tutte le società nazionali si sviluppano secondo un unico paradigma evolutivo, ma con ritmi differenti. 
Quest’ultimo concetto apre le porte alla cosiddetta Teoria degli Stadi secondo la quale le nazioni occidentali dovrebbero fungere da modello per le nazioni più arretrate, al fine di indicare loro la strada per raggiungere livelli sempre più elevati di sviluppo materiale, politico e culturale.

In questo contesto, però, il rovescio della medaglia consiste nel fatto che il sottosviluppo viene presentato come nuova forma di sfruttamento per ottenere la ricchezza, andando quindi a creare lo sviluppo del sottosviluppo.

Come si evince dall’intero articolo, dunque, arrivare a produrre una vera e propria storia globale, scevra dagli schemi ideologici che hanno da sempre caratterizzato una società, non è facile, ma gli studiosi, ancora oggi, ci stanno lavorando al fine di non creare una Storia di Serie A ed una Storia di Serie B.

Fu grazie a tutti questi grandi studiosi antichi e moderni, infatti, che dal 1982 la World History muove i primi passi verso il conseguimento di uno Status Accademico, arrivando ad accrescere la propria visibilità come principale istituzione promotrice della nuova prospettiva di ricerca, sia attraverso la costruzione di una rete di associazioni regionali e l’organizzazione di una serie di conferenze internazionali, sia attraverso l’istituzione di un concorso annuale in cui ad essere premiato era, ed è tuttora, il miglior lavoro di World History pubblicato nel corso dell’anno precedente.

Fonti:
- Andrew Marr - A History of the World. London, 2012.
- World History - Le nuove rotte della storia; Meriggi Marco, Laura Di Fiore; 2011.
- Storia della globalizzazione; J. Osterhammel, N.P. Peterson; Il mulino, 2005
https://www.thewha.org/
http://www.historyworld.net/

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