sabato 21 dicembre 2019

Gravità quantistica: a che punto siamo?

di Fausto Intillaoloscience

Nel campo della fisica delle particelle, in questi ultimi due decenni abbiamo assistito ad un rapido progresso in relazione ad uno dei temi più accesi e dibattuti dai ricercatori di tutto il mondo, che si occupano di meccanica quantistica, teoria delle stringhe e teoria quantistica dei campi: la gravità quantistica.

Tutti i nuovi approcci matematici a tale realtà facilmente osservabile in ambito macroscopico ma unicamente calcolabile nel mondo dell’infinitamente piccolo, non tendono infatti ad escluderla bensì ad incorporarla nelle equazioni fondamentali che regolano e descrivono la geometria dello spaziotempo (sempre dinamica ed evolvente nel tempo, come scoprì Einstein agli inizi del XX secolo). 

Molti teorici oggi, per rendere più semplici le equazioni che tengano conto della gravità quantistica, utilizzano delle riformulazioni della Relatività Generale, strutturate in modo tale da rendere la teoria di Einstein molto simile a quella delle teorie di gauge (per intenderci, quelle su cui si basa il Modello Standard della fisica delle particelle). 

L’idea centrale è dunque quella che non si debba partire dallo spazio o da “qualcosa che si muove nello spazio”, bensì da qualcosa che lo “trascenda” e abbia, invece dello spazio, una struttura puramente quantistica ...


In un simile contesto, definito da un’eventuale teoria che potremmo considerare potenzialmente corretta, lo spazio dovrà necessariamente emergere, rappresentando qualche proprietà media della struttura (per analogia, ad esempio, si consideri la temperatura; essa infatti emerge come conseguenza del movimento medio degli atomi).

Infine quindi, a vacillare è lo stesso concetto di spazio, che potrebbe in tale ottica di idee, “non esistere” come entità isolata di fondo (background). Per dirla con Edward Witten, “occorrerebbe iniziare a credere che lo spaziotempo sia un fenomeno emergente”.

Un altro aspetto importante dello spaziotempo, tuttavia, è che la sua geometria contiene delle informazioni sulle relazioni di causalità tra gli eventi. 

Ma così come la geometria dello spaziotempo determina quali sono le relazioni causali, a loro volta, viceversa, le relazioni causali possono determinare la geometria dello spaziotempo. 

Nel campo degli studi e delle ricerche sulla gravità quantistica, oggi i teorici sono ormai del tutto convinti che il ruolo della causalità sia fondamentale. Essi infatti arrivano ai migliori risultati solo quando riescono a combinare queste tre premesse essenziali: che lo spazio sia emergente, che la descrizione più fondamentale sia discreta e che essa implichi in un modo fondamentale la causalità. Da semplici modelli basati soltanto su questi tre principi (emergenza, discretezza e causalità), molti teorici sono riusciti a derivare dei risultati piuttosto importanti. 

Questi modelli partono dai più semplici assunti possibili sulle unità discrete dello spaziotempo e poi esaminano che cosa ne può derivare. Il più “funzionale” è il modello delle triangolazioni dinamiche causali (ideato da R. Loll e J. Ambjørn). L’idea di base è che una geometria dello spaziotempo si realizza accatastando un gran numero di piccoli mattoni, ognuno dei quali rappresenta un semplice processo causale. 

Poche regole semplici controllano le modalità dell’accatastamento e una semplice formula fornisce la probabilità quantomeccanica di ciascuno di questi modelli di uno spaziotempo quantistico. In questi modelli la coordinata del tempo è arbitraria, come nella Relatività Generale.

Con questa restrizione e qualche altra semplice regoletta, si ottiene una prova significativa del fatto che lo spaziotempo classico, con le sue tre dimensioni spaziali più il tempo, emerge da un semplice gioco di accatastamento di componenti elementari, basato solo sulla discretezza e sulla causalità.

Ambjørn è inoltre riuscito a dimostrare che se non vengono poste delle restrizioni alla causalità, non può emergere una geometria classica dello spaziotempo. 
Si osservi inoltre, come dulcis in fundo, che persino nella teoria dei twistor di Roger Penrose (il cui approccio allo spaziotempo quantistico si basa sullo stesso principio), le relazioni di causalità sono fondamentali …ma questa è tutta un’altra storia.
La discretezza dello spazio e del tempo è una conseguenza dell’insieme dei principi della teoria quantistica e della teoria della Relatività Generale; partendo da questo assunto di base e riscrivendo dunque la teoria di Einstein in funzione di un nuovo insieme di variabili, si riesce a derivare in maniera precisa la descrizione di uno spaziotempo quantistico. 

Tutto ciò viene elegantemente esposto dalla teoria della gravità quantistica a loop (LQG). 

L’aspetto più interessante di quest’ultima teoria (LQG), è che essa rimane del tutto indipendente dal contesto di fondo (ovvero, senza una metrica del background). 
La sfida più grande per la LQG è stata riuscire a spiegare come emerge lo spaziotempo classico; in tale direzione un passo importante è sicuramente stato compiuto da C. Rovelli nel 2005, quando trovò delle prove consistenti del fatto che la LQG prevede che due masse si attirino esattamente come descritto dalla legge di Newton. Tali risultati indicano inoltre che a basse energie, la teoria risulta funzionale con la presenza di quei particolari bosoni (per ora solo ipotetici), chiamati gravitoni. 

A favore della LQG, vi sono dunque parecchi elementi di notevole importanza. I più recenti studi, suggeriscono che molte teorie quantistiche della gravità indipendenti dal background, contengono le particelle elementari come stati emergenti.


Tutti questi risultati ci portano verso quella direzione in cui appare sempre più chiaro che possa esistere un linguaggio matematico e concettuale coerente, che unifichi la teoria quantistica con la Relatività Generale. 

Tuttavia, al momento, nessuna idea/teoria può essere considerata come ultima e definitiva descrizione della realtà. Oggi comunque sappiamo che qualcosa di nuovo, ancora da scoprire, potrebbe quasi certamente esistere alla scala di Planck, ovvero alla scala in cui opera la gravità quantistica; occorre soltanto attendere i risultati dei prossimi esperimenti che verranno condotti (negli anni a venire) con energie sempre più alte, all’interno di acceleratori di particelle, tecnologicamente sempre più evoluti. 

Tuttavia, non dobbiamo farci illusioni. Il principale ostacolo consiste nel fatto che la lunghezza di Planck (dell’ordine di 10^-33cm) è la minima possibile in natura, che è appunto la scala alla quale si prevede che gli effetti della gravità quantistica diventino visibili; il che vale a dire che in termini di energia, la scala pertinente è 10^19 GeV (che è 15 ordini di grandezza maggiore dell’intervallo di energia accessibile, ad esempio, al Large Hadron Collider di Ginevra!). 

Dunque, è quasi del tutto certo che non arriveremo mai a misurare direttamente i veri effetti della gravità quantistica su base sperimentale, ma solo per vie indirette e quindi su basi prettamente concettuali. 

Lo scetticismo di molti, quando si parla di approcci puramente mentali e concettuali, senza alcuna base sperimentale, è comprensibile ma non sempre giustificato. 

Basti pensare, a titolo d’esempio, all’esperimento mentale di G. Galilei per dimostrare che tutti i corpi, indipendentemente dal loro “peso”, cadono al suolo nello stesso modo. Supponiamo di avere due oggetti della stessa natura, dunque con la stessa densità, ma aventi masse diverse; dunque due oggetti con dimensioni spaziali diverse tra loro (due differenti volumi, in sostanza).

Se vengono legati assieme da una corda e poi lasciati cadere contemporaneamente da una certa altezza, allora l’oggetto più piccolo, avente una massa minore, cadendo più lentamente, dovrebbe teoricamente frenare la caduta dell’oggetto più grande e dunque far sì che tutto il sistema (oggetto piccolo + oggetto grande) cada più lentamente. 

Ma se considero l’intero sistema, esso risulterà più pesante dell’oggetto più pesante! Dunque tutto il sistema dovrebbe cadere più rapidamente rispetto all’oggetto più pesante. Questa contraddizione, porta ovviamente alla logica conclusione che l’assunto di base, che gli oggetti più pesanti cadano più rapidamente di quelli meno pesanti, è falsa. 

Qualsiasi teoria fisica, deve sempre essere supportata da una certa coerenza logica; ma i teorici questo lo sanno e anche molto bene. Ed è questo il motivo principale per cui a tutt’oggi, risulta assai difficile conciliare le teorie quantistiche con la Relatività Generale. 

Per dirla con T.S.Kuhn, “la decisione di abbandonare un paradigma è sempre al tempo stesso la decisione di accettarne un altro, ed il giudizio che porta a quella decisione implica un confronto sia dei paradigmi con la natura, sia di un paradigma con l’altro”. 

Forse non riusciremo mai a cogliere la vera natura, la vera essenza dello spazio e del tempo e di tutte le sue manifestazioni in termini di materia ed energia, ma molto probabilmente un giorno, riusciremo almeno a sfruttarne le potenzialità attraverso l’ideazione di strutture tecnologiche che oggi possiamo immaginare solo nel mondo della fantascienza.


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