lunedì 29 gennaio 2018

Scie chimiche: se sono innocue, perché non ce le spiegano?


Mi pare che l’argomento “geoingegneria” sia molto più serio e degno di studio di quel sottoprodotto che ha come nome divulgativo “scie chimiche”. 

L’altro giorno, per alcune ore nel pomeriggio, mi sono divertito a identificare i voli che tracciavano scie lunghe e persistenti che erano visibili nel cielo sopra casa mia, sull’Appenino centrale. Grazie ad un sito di flight tracking live, ho identificato tutti i voli che stavo osservando. 

Erano 5-6 ed erano tutti voli di linea, internazionali (dal Napoli-Francoforte al Cagliari-Varsavia, dal Zante-Londra al Mosca-Roma), gli aerei erano Airbus o Boeing 737, compagnie low cost ma anche di bandiera (come Lufthansa e Aeroflot). 
Ho potuto dunque facilmente dedurre che queste scie anomale sono rilasciate da normali aerei di linea commerciali. Forse anche aerei di altro tipo (droni, militari, ecc.) rilasciano queste scie, ma quelli che stavo osservando con i miei occhi erano aerei del tutto normali. 

Questa considerazione faceva il paio con un’altra che tutti hanno potuto osservare in questi ultimi venti anni. Dagli anni 2000 in poi le scie rilasciate dagli aerei sono del tutto diverse da quelle che osservavamo da ragazzi, negli anni ‘70-’80: le classiche scie di condensa, bianche e di breve vita, che seguivano da vicino l’aereo e si disperdevano nell’arco di alcuni secondi...


Ogni tanto capita ancora di vedere quel tipo di scia, ma ormai sempre più di frequente esse sono sostituite da scie più rarefatte, più frastagliate, particolarmente persistenti (durano anche per ore) e che tendono a trasformarsi in un velo che scherma la luce solare, una foschia nuvolosa che spesso ingloba scie rilasciate da altri aerei o corpi nuvolosi.

Dunque, nel corso degli anni ‘90 qualcosa è cambiato. 

Non so dire cosa, magari qualcosa di spiegabile molto semplicemente. I motori di alcuni aerei, ad esempio, che formano una scia diversa con cristalli molto più durevoli; oppure la qualità/composizione del combustibile dell’aereo. Questo potrebbe significare che in corso non c’è alcun complotto ma semmai che gli aerei moderni sono tecnologicamente più inquinanti dei loro predecessori. 
Oppure si potrebbe argomentare che una relazione tra scie anomali e geoingegneria esiste, e questa seconda utilizza alcuni sviluppi tecnologici dell’aviazione per perseguire altri e ulteriori scopi oltre quelli immediati. Su questo non ho risposte e finora non ho trovato studi completamente convincenti.

Svolgo però una valutazione personale: se le attuali scie “anomale” derivano da sviluppi tecnologici “neutrali”, sarebbe molto facile mettere a tacere una volta per tutte il vociare sui complotti e le scie chimiche a cui assistiamo sul web. Questo non viene fatto.

Sembra quasi esserci qualcuno che si diverte a confondere le acque, lasciando che si propaghino le teorie più fantasiose che inquinano quelle che si pongono invece domande molto più problematiche. 

In tal caso il chiacchiericcio affoga e neutralizza gli approfondimenti più seri. 

Così le scie chimiche, a livello di percezione diffusa e comune, scacciano via gli interrogativi sulla geoingegneria. Una classica metodologia di deception, per chi ha una qualche dimestichezza con questi argomenti. 

Per ristabilire un po’ di sana ricerca riprendiamo dunque questo articolo di approfondimento di Giulietto Chiesa e del prematuramente scomparso Paolo De Santis, fisico, professore universitario, persona seria e rigorosa, umanamente straordinaria, che ho avuto l’onore di conoscere personalmente. Buona lettura.



Geoingegneria: il clima di Teller-Stranamore
di Giulietto Chiesa e Paolo De Santis

Qualcuno agisce, sopra le nostre teste. Noi vediamo cose che non siamo in grado di spiegare del tutto (per il momento) ma che sono visibili, sempre più visibili, incontestabilmente visibili.
Quando in molti hanno cominciato a chiedersi che cosa fossero quelle “cose” che si vedono in cielo, e le hanno chiamate “scie chimiche” (in inglese “chemtrails”) ecco scatenarsi lo stuolo dei cosiddetti debunkers, con il loro codazzo di insulti. “Complottismo!”, “visionari!”, “esaltati!” quando non “malati di mente”, e via elencando cose che non c’entrano niente, come lo sbarco sulla Luna, gli UFO, i rettiliani, l’11 settembre, l’AIDS, il cancro, i chips nel cervello, il rasoio di Occam, Piero Angela e il CICAP, la National Security Agency, Kafka, la zia pazza del vicino di casa, il gatto della zia pazza del vicino di casa, ecc.

Lasciamo da parte i motivi che spingono così tanta gente a indignarsi, scatenarsi fino all’insulto, nei confronti di coloro che si pongono, e pongono, domande di fronte a cose e fenomeni che non sono facilmente spiegabili. Si va da questioni strettamente personali come la tutela della propria tranquillità ed equilibrio mentale (per difendersi da ogni notizia o fatto, veri o presunti, che possano turbarli), fino a – attraverso tutte le sfumature intermedie – più o meno considerevoli emolumenti erogati da coloro che quei fenomeni intendono nascondere con la massima cura. Ma non è di questo che intendiamo parlare. Non senza avere rilevato che la quantità di giornalisti che si mettono al servizio dei debunkers è particolarmente elevata. Senza l’aiuto dei gatekeepers, i debunkers sarebbero molto più deboli e l’impresa di nascondere i fatti sarebbe molto più difficile. 

Ma questo preambolo serve solo per dichiarare solennemente che non parleremo più di “scie chimiche”.


Parleremo invece di geoingegneria

Per due motivi: perché questo è il termine che viene usato negli ambienti accademici e specialistici. Il che ci consente di ridurre l’area della confusione.
E perché, in tal modo, costringeremo i debunkers e i gatekeepers a compulsare qualche testo successivo a Galileo Galilei. Contro il quale, sia detto per inciso, noi non nutriamo alcun sospetto. Ci piace anzi moltissimo il suo aforisma sulla “sensata esperientia et certa demonstratione”. Non ci piace invece l’uso di Galilei in veste di alter ego di Aristotele.

Prima d’incamminarci sulla strada assai poco illuminata della geoingegneria diamo un’occhiata al CDM, acronimo Clean Development Mechanism, espressione coniata per descrivere un artificio economico consistente nel consentire a produttori irresponsabili di gas ad effetto serra di comprare diritti di emissione degli stessi gas da venditori più o meno virtuosi di quei diritti (cioè paesi e compagnie che ne producono di meno, o addirittura ne assorbono determinate quantità).
Il CDM fu un effetto dei negoziati di Kyoto, che furono siglati dopo che gravi e molto ben motivati allarmi degli scienziati di tutto il mondo fecero emergere la realtà: che il riscaldamento climatico alla superficie della Terra era il prodotto delle attività umane. 

 Lasciamo stare qui le cause, per non perdere il filo del discorso: quello che è certo è che il CDM non ha funzionato. Il riscaldamento climatico procede, si accelera anzi, a ritmi che, fino a pochi anni fa erano ritenuti impensabili, e ci avvicina a catastrofi ambientali di cui si sa con certezza che saranno gigantesche, ma di cui nessuno è in grado di misurare la portata, la frequenza e i luoghi in cui si verificheranno.

Nel frattempo il trattato di Kyoto è scaduto, nel 2012, e nessun trattato sostitutivo è stato siglato. 

Cioè siamo in balia delle forze dei mercati che, come dovrebbe ormai essere evidente, sono totalmente irresponsabili e non hanno alcun meccanismo regolatore, o mitigatore, della loro irresponsabilità.

In realtà il CDM con la geoingegneria c’entra poco e niente. 
Infatti è un meccanismo essenzialmente economico-commercial-finanziario che è servito per aggirare il problema – e rimandarlo alle calende greche – piuttosto che per risolverlo. Invece c’entra, e molto, il SRM (altro acronimo che sta per Solar Radiation Management, cioè, in italiano, Gestione – ovvero contenimento, ovvero mitigazione, riduzione, blocco, etc – della Radiazione Solare). Ne parliamo perché il Panel Internazionale per il Riscaldamento Climatico (IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change) delle Nazioni Unite ha pubblicato, lo scorso settembre 2013 il suo Quinto Rapporto (AR5), nel quale nomina per la prima volta la geoingegneria come tecnica in grado di controllare il riscaldamento globale senza dover ridurre le emissioni di gas ad effetto serra. 

 L’altro segmento della geoingegneria si chiama CDR (Carbon Dioxide Removal, in italiano Rimozione dell’anidride carbonica). Esistono procedure già testate, per esempio quella detta CCS (Carbon Capture and Storage) che permetterebbero di catturare la CO2 emessa da impianti alimentati a carbone e gas, immagazzinandola in maniera permanente nel sottosuolo. Il problema sono i costi. Per “parare”, ovvero rimuovere, 8 miliardi di tonnellate di CO2 l’anno entro il 2050 occorrerebbero tra 4000 e 8000 grandi impianti di CCS. Poiché le stime dicono che ognuno di questi impianti si aggira su costi vicini al miliardo $, ci vorrebbero da 4 a 8 trilioni $ (sopra il 2% del Pil mondiale).

Nessuno pensa di tirare fuori queste cifre.

La verità cruda è che le emissioni di gas a effetto serra si possono ridurre solo con una drastica svolta verso un contenimento dello sviluppo economico quale quello che stiamo sperimentando. E’ lo sviluppo continuo della produzione energivora di beni e servizi che produce inesorabilmente il riscaldamento climatico. 

La strada qui è sbarrata: stati e corporations non hanno la minima intenzione di procedere in quella direzione, che comporta modificazioni radicali nella struttura produttiva del pianeta, investimenti giganteschi. Nessuno dei potenti del mondo, a cominciare dagli Stati Uniti, è disposto a questi sacrifici. D’altro canto i costi per sotterrare l’anidride carbonica sono proibitivi. Le opinioni pubbliche, diseducate dal consumismo, e ignare (non per colpa loro) dei pericoli, respingerebbero misure tanto drastiche quanto, per loro, incomprensibili e manderebbero al diavolo i governanti mentitori. 

Dunque è evidente che sugli scienziati e i centri di ricerca di tutto il mondo è stata esercitata in tutti questi anni una micidiale pressione affinché da essi venisse fuori un messaggio tranquillizzante: possiamo continuare a sviluppare la produzione, cioè a emettere gas a effetto serra. 
 Non inquietatevi perché le nuove tecnologie ci salveranno dagli effetti climatici che produrremo. 

 E’ questo l’inganno della geoingegneria. 

Il CDR è troppo costoso. Resta solo a disposizione, se si vuole continuare a crescere ad ogni costo, il SRM (Solar Radiation Management), ovvero il tentativo di controllare la radiazione solare in arrivo. Ma, a parte i costi economici che esso comporta, i suoi effetti sconvolgenti sugli equilibri degli ecosistemi appaiono tanto giganteschi quanto assolutamente incalcolabili e imprevedibili a chiunque abbia qualche dimestichezza con la questione della complessità, e con quella dei cicli vitali di Gea. Ci s’incammina in territori inesplorati con cieca disinvoltura, ignorando ogni principio di precauzione.

L'articolo continua qui: megachip.globalist.it

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