giovedì 30 giugno 2016

L’Assoluto non sa di esistere

 di Isabella di Soragna

L’Assoluto non sa di esistere : non sarebbe «Assoluto». Quindi non esiste, non è oggettivabile, concepibile.

Noi “siamo Assoluto” ma ci confondiamo con un miraggio, ne consegue che non siamo mai stati concepiti, non siamo mai nati, nè mai moriremo e quindi...NON VIVIAMO. Quello che ci appare come “VIVO”, ad esempio il corpo, è un burattino che, identificandosi ad un personaggio, un presidente, un impiegato, un mendicante, a Mario o Concetta o a qualche bel nome indiano altisonante, si comporta come un bambino che osserva una nuvola e dice:”Toh!un ombrello, un cavallo, un delfino, un’aquila... ‘’ma sono NUVOLE!

Come uscire da questo circolo vizioso? I saggi dicono che il solo fatto di” voler uscire” fa parte del miraggio. Verissimo.
Siamo già Quello, al di qua del film e dello schermo anche. Allora che cosa ci impedisce di “viverlo interamente” nel quotidiano, ossia senza più alcuna presunzione di essere un insignificante puntolino di riferimento? ...


Questo punto indefinibile e attaccaticcio è l’ “IO-sono” - anche se questa sensazione che sembra unica è composta da varie funzioni -a cui si incollano inoltre tutte le egregore concettuali ed il cosiddetto “mondo esterno”: é un’Idra con tante teste. Il mito dell’Idra ci narrava che più tagliavi le sue teste e più rinascevano. Questo punto di riferimento a cui attacchiamo mille contenuti che solidificano una realtà solo “apparente”, riesce a nascondere e sotterrare bene le proprie “teste”, non bisogna sottovalutarlo, anche se abbiamo scoperto che NON ESISTE e non è nemmeno una nuvola! Aria fritta. 

La stampella del puntolino ‘’io’’ è inutile ma...non si sa mai! Bambini che brancolano nel buio e temono il lupo cattivo, il NULLA. E se ci fosse davvero, tipo un buco nero interminabile o cose simili? Nulla: ancora un concetto, quindi INESISTENTE. Se andiamo a ritroso, sprofondando nel nostro vero Sé incomunicabile, la nostra mente ed i suoi ganci non lo permettono facilmente, poiché senza un’etichetta, un oggetto, essa è costretta a sparire: da qui il terrore.

Lo stesso dicasi per la paura della morte che non ha affatto a che fare con il corpo (inerte), ma con le aspettative costruite come baluardo per il fantasma ego. Lo scienziato dirà che è un “residuo del cervello rettiliano di sopravvivenza davanti a un pericolo immediato ma che si infiltra nei livelli cortico-cerebrali”. Risultato? Sempre, ancora ...un pensiero! Allora “CHI” ha paura della morte? Semplicemente l’Io-sono. Un PENSIERO. 

“Quello“ che siamo non si immischia certo in questa faccenda. Quindi per snidare le cristallizzazioni e bruciare i concetti cementati dall’abitudine occorre aver costanza nel praticare questo tipo di annullamento nel vivere quotidiano:”
Chi sta soffrendo? Chi si arrabbia? Chi è toccato da questa situazione, da questa sciagura? ecc.” La devozione (o bhakti) a Dio o al Sé (anche nella figura di un sat-guru, pur sapendo che è il Sé), significa allo stesso modo annullarsi nella Pura Consapevolezza: pura, perché è la base dell’ “io esisto” che contiene tutto il manifesto, ma sembra spezzettarsi in mille e mille concetti e concettini, creando una barriera di dolore e di desiderio. 
Quindi la scoperta che già siamo Quello, che non siamo né il corpo né la mente, CHE è SOLO L’EGO CHE VUOLE OTTENERE UNO STATO BEATIFICO (immaginario), è vero, ma solo intellettualmente. 

L’idea-cemento che siamo un’entità indifesa, rinvigorita da traumi ed abitudini, convalidate dal cosiddetto esterno (specchio), richiede molta attenzione e un po’ di fatica per sparire.

Possiamo solo partire dall’’io-sono, è evidente, ma c’è un modo di bruciarlo come uno zolfanello che poi si butta nel camino acceso...Alla fine si rivelerà parte del teatro e svanirà nel “Senza oggetto né soggetto”.
Si scoprirà: "Ma non sono nemmeno il senso di essere!"
EUREKA! La bolla è scoppiata, ma non mi riguarda!

È chiaro allora, affinché questo punto di riferimento illusorio, ma tenace, che crea dimensioni fittizie si dilegui, è necessario per prima cosa “indagare” adesso, indagare adesso, indagare adesso... per smascherare ...l’assassino che ci sfugge sempre, anche se crediamo di averlo acciuffato. Alla fine il poliziotto ed il ladro si riveleranno la stessa cosa. (o il poliziotto si travestirà da ladro per poterlo prendere) 

Inoltre - poiché nel film che continua a scorrerci davanti, abbiamo riposto tutta la fede, ossia in un corpo solido, dentro un mondo solido che ci aspetta al risveglio mattutino - è necessario trovare un cancellino che automaticamente come un lavavetri al semaforo, tolga le tracce mnemoniche e le false identificazioni. “Non sono questo, non sono quello”. Ma non basta perché può diventare una litania o un’etichetta, dietro la quale la mente astuta si nasconde ancora e ancora: il piccolo verme dell’io referenziale.

Viviamo in un mondo di etichette protettrici, paraventi indispensabili al “colpevole”(IO) che cerca di mantenersi a tutti i costi e scampare alla ghigliottina.

L’altro cancellino per sradicare il paravento di cemento armato - anche se parliamo tutto il giorno di amore, di consapevolezza e di un mondo illusorio (!) - è di afferrare ogni tentacolo doloroso teso dal mondo “cosiddetto esterno” e di ricondurlo a casa, assimilarlo, annullandolo in tal modo.

Se qualcosa ci ferisce, se ci sono situazioni dolorose, ormai abbiamo ben capito che siamo noi a crearle. 
Che cosa sono? Sono i nostri condizionamenti, complessi e memorie che abbiamo “tenuto fuori “ con cura, perché non ammessi nel nostro teatrino di marionette e con cui invece dobbiamo ricongiungerci, ringraziandoli (anche se l’ego lo giudica inammissibie), scusandoci (di far loro recitare questa sceneggiata) e amandoli per riunire “de facto” e non di testa – ciò che avevamo proiettato sullo schermo degli “altri” e del mondo, solo per infilarci nell’abito dell’uomo perfetto e senza macchia. 
L’uomo o la donna che crediamo perfetti e buoni creano solo separazione e immobilità perché dimentichiamo che nel mondo manifestato c’è sempre il più ed il meno, lo yin e lo yang, anche se non sempre visibili all’istante. Per accendere una lampada ci vuole la presa che deve avere i due poli. Uno solo non crea corrente. Se c’è bontà da una parte ci dev’essere malvagità dall’altra. L’Amore riunisce i due poli e crea energia: è il primo passo, ma molti intellettuali lo considerano qualcosa di inferiore ed inutile!

Ecco perché i santi abbracciano i nemici: accolgono se stessi.

D’altro lato non si può dire: sono regolarmente in meditazione, vivo “samadhi”, pratico yoga, canto bhajans in un ashram e poi...alla prima occasione, inveisco contro il vicino di casa attaccabrighe, la suocera cattiva o il politico infame. SIAMO SEMPRE NOI! I “cattivi” sono fuori, nel mondo esterno, creato appositamente per infilarvi tutto cio`che non si addice alla nostra immagine di persone oneste e probe...

L’Assoluto inconcepibile è ‘’prima e sempre’’, non è uno “stato”, tuttavia, viverlo nel quotidiano - tranne qualche raro caso - significa aver trasceso effettivamente e totalmente la dualità. I concetti di illuminazione e realizzazione sono solo indicazioni, che diventano parole vuote quando si vive “oltre” la manifestazione. Infatti non ci sono mai state “persone” realizzate!

I guru moderni advaitin ci spiegano in mille modi che sei già Assoluto e non c’è nessuna pratica da fare, ma spesso ci incastrano ancor di più in concetti appiccicati e astratti. E rimaniamo allo statu quo, anzi con qualche bel concetto altisonante in più. Se VIVIAMO profondamente l“Assoluto, o Pura Consapevolezza ”, non possiamo più reagire come prima al mondo “di fuori” perché come abbiamo visto, “NON” esistiamo affatto, non viviamo, ma questo è messo nel dimenticatoio. Certamente è meglio frequentare il mercato spirituale, continuare i satsang, attirare le folle, far pagare i seminari... per che cosa? Per distribuire ancora etichette ad “altri” che sono solo figurine di un effimero teatro? O servire da gruccia parentale?

Questo impedisce di lasciare ogni certezza, di sprofondare da soli, in se stessi, eludendo ogni punto di riferimento, ma di affidarsi invece ad un ennesimo miraggio e non vedere che stiamo solo giocando in una galleria di specchi in movimento, ingannandoci con false certezze.

Il risultato potrebbe invece essere, se la motivazione è immensa... che invece di un terribile buco nero, finalmente ritroveremmo la nostra UNICA VERA NATURA sempre presente e la vivremmo totalmente. 

Il corpo, il mondo, le galassie, il tempo, il senso di essere, li vedremmo come un sogno, una bolla che non ci invade più.


Alcune frasi-chiave di Nisargadatta Maharaj su cui poter meditare:

“Indaga su tutto, non credere a niente. 
Tutto quello che ti hanno detto su di te viene dall’esterno, quindi abbandonalo.

Per trovare CHI sei trova prima che cosa non sei.

Per lasciar andare qualcosa devi prima sapere cos’è.

Chi sperimenta fa parte dell’esperienza.

Tutto ciò che pensi di essere non lo sei.”

2 commenti:

  1. Un cuore/mente che indaga, come il tuo, non poteva restare indifferente al pensiero di Nisargadatta: sono sicuro che approfondirai!
    Buon viaggio, entronauta!
    Pino

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  2. Questo articolo lo avevo già pubblicato tempo fa, l'ho rispolverato.
    Buon viaggio anche a te!
    ^_^

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