Vi siete mai chiesti dove finisce tutta la spazzatura (soprattutto la plastica) che lasciamo in giro per strada o che finisce nei fiumi, nei laghi, sulle coste marine oppure che gettiamo con le nostre mani in mare, dalla spiaggia o dalle barche su cui viaggiamo?
Ebbene, sono decenni che questa si accumula nei mari e soprattutto nell’Oceano Pacifico, dove un gioco di correnti ha dato vita a una coppia di agghiaccianti mostruosità delle quali nessuno vuol parlare: tonnellate di rifiuti, per il 90% plastica appunto, accorpate in due sorte di enormi continenti galleggianti, scarsamente visibili dai satelliti e dalle navi in transito, che “dormono” appena sotto il pelo dell’acqua.
Non se ne parla e quasi nessuno lo sa forse perché l’interesse mediatico di questo sfacelo, del quale tutti abbiamo colpa ma nessuno ammette la paternità, è e deve essere pari a zero; tuttavia, secondo alcune stime decisamente ottimistiche la massa di rifiuti ha una superficie doppia di quella del Texas, secondo altre, invece, misurerebbe quanto l’intera superficie degli USA..
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Più di 300 specie marine sono a rischio estinzione perché le condizioni acquatiche sono ormai “incompatibili con la vita”
Di fatto, gli unici abitanti rimasti sono i grandi cetacei. E lo sono ancora per poco, di questo passo. La plastica riduce la possibilità di ossigenazione dell’acqua rendendola asfittica, limita il passaggio di luce e trattiene il calore (contribuendo al riscaldamento degli oceani), oltre a trattenere anche buona parte degli inquinanti oleosi derivanti dal petrolio; in sintesi, un disastro. A essere danneggiati sono anche gli uccelli marini che scambiando i rifiuti per cibo se ne nutrono per settimane e forse mesi, per poi andare a morire sulle coste in preda a una dolorosa e lunga agonia. Sono circa un milione di uccelli appartenenti a varie razze a morire ogni anno per ingestione di sostanze plastiche. E noi? Secondo gli studiosi dell’Algalita Marine Research Foundation (la fondazione di Moore), i pesci che finiscono sulle nostre tavole sono delle bombe tossiche: i minuscoli pezzi di plastica funzionano come delle spugne assorbendo agenti inquinanti di ogni sorta (come gli idrocarburi) e i pesci inevitabilmente se ne nutrono restituendoci a tavola la cortesia.
Continua a crescere di anno in anno come fosse un essere vivente, in realtà un mostro, divorando un intero ecosistema. Il problema è di dimensioni spaventose e le soluzioni possibili non sono di semplice attuazione, ma una cosa è certa: nel nostro piccolo possiamo fare molto, anzitutto diffondendo questa notizia e poi, inevitabilmente, dichiarando guerra a plastica e inciviltà. La posta in gioco è alta, il tempo finito: è ora di cambiare.
Non se ne parla e quasi nessuno lo sa forse perché l’interesse mediatico di questo sfacelo, del quale tutti abbiamo colpa ma nessuno ammette la paternità, è e deve essere pari a zero; tuttavia, secondo alcune stime decisamente ottimistiche la massa di rifiuti ha una superficie doppia di quella del Texas, secondo altre, invece, misurerebbe quanto l’intera superficie degli USA..
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Western and Eastern Pacific Garbage Patches, letteralmente “isole di immondizia occidentale e orientale”, questo il nome dei due continenti i cui confini cominciano a circa 500 miglia nautiche dalla costa californiana, attraversano le Hawaii e arrivano quasi fino al Giappone. Una sconfinata distesa di plastica sminuzzata, bottiglie, palloni, spazzolini da denti, buste di plastica, filtri di sigarette e molto altro.
La sua scoperta si deve a Charles Moore che nel 1997 incappò nel gigantesco “blob galleggiante” durante una regata; il suo sconcerto fu talmente grande da indurlo a lasciare il suo lavoro e creare una fondazione dedicata alla salvezza degli Oceani.
I pochi studi effettuati ci restituiscono uno scenario drammatico che denuncia la desertificazione delle zone interessate dalle isole di spazzatura.Più di 300 specie marine sono a rischio estinzione perché le condizioni acquatiche sono ormai “incompatibili con la vita”
Di fatto, gli unici abitanti rimasti sono i grandi cetacei. E lo sono ancora per poco, di questo passo. La plastica riduce la possibilità di ossigenazione dell’acqua rendendola asfittica, limita il passaggio di luce e trattiene il calore (contribuendo al riscaldamento degli oceani), oltre a trattenere anche buona parte degli inquinanti oleosi derivanti dal petrolio; in sintesi, un disastro. A essere danneggiati sono anche gli uccelli marini che scambiando i rifiuti per cibo se ne nutrono per settimane e forse mesi, per poi andare a morire sulle coste in preda a una dolorosa e lunga agonia. Sono circa un milione di uccelli appartenenti a varie razze a morire ogni anno per ingestione di sostanze plastiche. E noi? Secondo gli studiosi dell’Algalita Marine Research Foundation (la fondazione di Moore), i pesci che finiscono sulle nostre tavole sono delle bombe tossiche: i minuscoli pezzi di plastica funzionano come delle spugne assorbendo agenti inquinanti di ogni sorta (come gli idrocarburi) e i pesci inevitabilmente se ne nutrono restituendoci a tavola la cortesia.
Questa massa, come potrete immaginare, è in continuo aumento
Continua a crescere di anno in anno come fosse un essere vivente, in realtà un mostro, divorando un intero ecosistema. Il problema è di dimensioni spaventose e le soluzioni possibili non sono di semplice attuazione, ma una cosa è certa: nel nostro piccolo possiamo fare molto, anzitutto diffondendo questa notizia e poi, inevitabilmente, dichiarando guerra a plastica e inciviltà. La posta in gioco è alta, il tempo finito: è ora di cambiare.
Fonte: www.attentialluomo.it
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