martedì 25 settembre 2012

Vivere, pensare e star meglio senza Freud

Agli inizi di settembre del 2005 uscì a Parigi un volume di ben 832 pagine, intitolato Il Libro nero della psicoanalisi: vivere, pensare e star meglio senza Freud. Questa antologia rivela il suo scopo con le parole di Catherine Meyer, che ha diretto e coordinato gli interventi di quaranta “addetti ai lavori” - filosofi, storici, psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, ex ...

...psicoanalisti freudiani - di ben dieci diverse nazionalità. Ovviamente, balza agli occhi l’assenza di un seppur minimo contributo italiano. Il volume, dopo un momento di notorietà sulla nostra stampa quotidiana (con articoli su la Repubblica e sul Corriere della Sera ) e più di un anno di pressoché totale silenzio, esce ora in Italia per l’editore Fazi. Nella sua premessa la Meyer esprime alcune prese di posizione molto significative.

La Francia, insieme all’Argentina, può essere considerata la nazione più “freudiana” del mondo: su 13.000 psichiatri, il 70 per cento praticano la psicoanalisi o psicoterapie d’ispirazione psicoanalitica. Mentre, da quasi 30 anni, nei Paesi del Nord Europa e negli Usa, la “storia ufficiale” del freudismo è stata progressivamente criticata dai cosiddetti Freud scholars, cioè dagli esperti di Freud. Con le loro ricerche di tipo storico-critico, basate prevalentemente su documenti (denominate “studi freudiani” nei Paesi anglosassoni) hanno rivelato menzogne e mistificazioni, sia nell’opera originale di Freud che in quelle di alcuni dei suoi seguaci. Gli argomenti dei Freud scholars, ribadisce Catherine Meyer, hanno ormai convinto larghi strati d’opinione pubblica, ben al di là dell’ambito ristretto degli specialisti. Oggi, negli Usa, le persone che sono in psicanalisi freudiana, secondo quanto riferito da Times (2003), sono soltanto 5.000, una cifra irrisoria rispetto ai quasi 300 milioni di statunitensi. Questi cambiamenti dell’ “immagine del freudismo” si sono gradualmente prodotti attraverso polemiche, prima estremamente virulente, a partire dalle proposizioni dei principali storici della psichiatria come Ellemberger, Sulloway, Cioffi ed altri, dagli inizi degli anni 70...


Di quest’ultimo ad esempio, è rimasta memorabile in Inghilterra una trasmissione della Bbc. intitolata: “Freud era un bugiardo?”. In Francia invece - puntualizza la Meyer - fino ad oggi «la psicoanalisi è presentata ancora con reverenza, come una disciplina esigente e nobile, che si rivolge alla totalità dell’essere umano nel rispetto della sua libertà». E basta che siano sollevati i primi accenni a critiche e confutazioni sulla validità storica, culturale e terapeutica della psicanalisi, che subito le passioni si scatenano. Le divergenze, particolarmente violente nei retroscena, non sono mai state affrontate sul fronte aperto della scena pubblica. Secondo i promotori del Libro nero, quelli che erano gli “insorti” e i contestatori di ieri sono diventati oggi “i guardiani del tempio”: «La psicanalisi era stata vissuta dalla generazione del Maggio ‘68 come un vento di libertà; oggi ha preso la forma di un dogma intoccabile». Fino al punto che, ribadisce la Meyer, «proprio gli eredi di Jacques Lacan hanno ottenuto, nel febbraio 2005, che l’allora ministro della Salute Philippe Doust- Blazy facesse sparire dal sito internet del suo ministero un rapporto dell’Inserm, un organismo pubblico che aveva condotto una ricerca sull’efficacia delle diverse terapie nell’ambito della salute mentale, realizzata su richiesta delle associazioni dei pazienti e dei loro familiari, le cui conclusioni erano sfavorevoli per le psicoanalisi ortodosse».

Domandiamoci adesso cosa sia accaduto, a poco più di un anno dalla pubblicazione a Parigi del Libro nero ed in coincidenza con l’uscita in Italia della sua traduzione. È indubbio che le polemiche sono rapidamente divampate in Francia, com’era del resto prevedibile tenendo conto delle sue tradizioni culturali. Basta considerare l’impatto suscitato dal Libro nero sulle più note riviste culturali a grande tiratura come L’Histoire, Le Magazine Littéraire, Le point e, in particolare, l’eco che hanno avuto alcuni numeri, dedicati a questo tema, del più importante settimanale della sinistra progressista francese, Le Nouvel Observateur. Queste pubblicazioni, con la tecnica di “un colpo al cerchio ed uno alla botte”, si sono sforzate di “parare il colpo” della grave crisi suscitata a Parigi non solo dal Libro nero,ma anche dall’“eruzione” delle scoperte su Freud, frutto della ricerca storico-critica dei Freud scholars e rese pubbliche anche tramite altre opere, edite quasi contemporaneamente al Libro nero. Queste inchieste giornalistiche sulla storia della psicoanalisi, infatti, si sono riferite prevalentemente a tre ricerche, contenute in tre libri usciti nei mesi immediatamente successivi.

Uno di questi è di Elisabeth Roudinesco, storica di “parte freudiana” e psicoanalista, direttrice di ricerche al dipartimento di storia dell’Università di Paris VII e vicepresidente della Società internazionale di storia della psichiatria e della psicoanalisi, oltre che collaboratrice del quotidiano della sinistra Libération. Nel suo “contro pamphlet” Pourquoi tant de haine? (Perché tanto odio? Anatomia del Libro nero della psicanalisi, Parigi, 2005) la Roudinesco appare particolarmente stizzita perché Le Nouvel Observateur (letto, come lei stessa precisa, da due milioni e 600.000 lettori) ha messo in copertina, in corrispondenza dell’uscita del Libro Nero, il seguente titolo: “Bisogna farla finita con la psicoanalisi? Medici, psichiatri, storici, filosofi contestano la sua efficacia“. Ma leggendo tra le righe del suddetto instant-book e di una intervista al mensile L’Histoire del maggio scorso, intitolata Nessuno può negare il genio fondatore di Freud non è difficile percepire lo stato di crisi e di confusione della più nota storica “filo-freudiana” francese, allorché, alle acute domande dell’intervistatrice, Pierre Assouline, finisce per rispondere che «l’opera di Ellemberger La scoperta dell’inconscio è un gran libro. Bisogna leggerlo. In esso c’è l’immersione di Freud nella storia il che era nuovo e scandaloso per il mondo psicoanalitico, che viveva dell’idea che “tutto cominciasse con Freud». Ed aggiunge queste frasi, per qualcuno tuttora incredibili: «Ellemberger ha ristabilito la verità sul caso Anna O. (…) Freud sapeva che non era stata guarita da Breuer, e si è servito di questo racconto [falso] per fondare la psicoanalisi. Ellemberger e Hirschmüller (il biografo tedesco di Breuer, ndr) hanno ben dimostrato che questo famoso “prototipo” della guarigione di una isterica tramite la “catarsi” non fu una guarigione né una “catarsi”; e che questa donna non era nemmeno isterica.

Ellemberger ha messo in evidenza per primo che c’è una distorsione radicale tra la redazione del caso (di Breuer e Freud ndr) e la verità storica. È lo storico che deve “disfare” queste ricostruzioni a posteriori, che, a partire da Mesmer, si basano sulla volontà degli scienziati di presentare la riuscita di casi clinici, descrivendoli tramite veri e propri “racconti teorici”. Però - si affretta ad aggiungere la Roudinesco - Ellemberger e Hirschmüller non trattano mai Freud da bugiardo. Lo storico non deve trasformarsi in un inquisitore. Freud ha mentito? Diciamo che ha mascherato quanto ha potuto le cose che ha ritenuto non dovessero sapersi ed ha lui stesso creduto a certe leggende ed a certe dicerie (…) Gli psicoanalisti francesi hanno la tendenza a liquidare tutto questo con un’alzata di spalle. Hanno torto, perché se Freud ha mentito su questo e quel punto, lo si deve poter dire e questo non discredita affatto tuttavia il resto di ciò che ha detto». La Roudinesco appare dunque intimamente lacerata dal suo irrisolto amletico dubbio tra essere una seria studiosa di storia della psicoanalisi o una “seguace” di Freud. La confusione è tale che non può fare a meno - proprio in Pourquoi tant de haine? - di riconoscere che il suo più giovane collega, il filosofo e storico danese-franco-statunitense Mikkel Borch-Jacobsen (autore, fra l’altro, di Ricordi di Anna O., una mistificazione durata un secolo, Garzanti ed alla cui ricerca la Roudinesco ammette di aver collaborato) «senza alcun dubbio è uno degli storici della “corrente revisionista” (così lei la definisce ndr), nel campo degli “studi freudiani”, fra i più interessanti e più dotato. Peccato che il suo odio per Freud l’abbia condotto ad associarsi in modo così virulento alla fabbricazione del Libro nero».

Il secondo libro rilevante in questa classica “grande polemica” parigina, è comparso nel febbraio 2006; e ha un titolo più che esplicito: l’Anti-livre Noir de la psycanalyse, (Éditions du Seuil). È un’antologia di 40 brevi interventi di altrettanti psicanalisti lacaniani, insieme al contributo di una filosofa e di un giurista della stessa impronta. Non c’è molto da dire su questo libro, in quanto è basato su una sola operazione: quella di “ridurre” contenuto e significato del Libro nero a un unico aspetto, peraltro assolutamente riscontrabile e che rappresenta il suo principale e grave difetto. Si tratta della netta valorizzazione, per non dire “reclamizzazione” delle terapie cognitivo-comportamentali (Tcc) di marca anglosassone. Con un procedimento la cui dinamica non potrebbe essere meglio definita se non come “spostamento” del bersaglio polemico e parallelo e contemporaneo annullamento dei risultati storico-critici raggiunti dai Freud scholars, J.A. Miller (il genero di Lacan) e i suoi quaranta “cavalieri” ... come uno sciame di vespe inferocite si scatenano … in quaranta coups d’ épingles (colpi di spillo)» Questo, alla lettera, è il titolo guerresco di un’intera sezione del libro contro la Tcc, ottenendo in effetti, e in buona misura, di ridurla a brandelli. Ma, come sopra accennato, totale silenzio riguardo a quella critica storica che, nel Libro nero, riempie pagine su pagine su fatti e misfatti sia di Freud che del freudismo, Jacques Lacan incluso.

Infine il terzo libro presente nell’appassionato dibattito che ha attraversato sia i circoli culturali che il più vasto pubblico, è stato scritto proprio da Mikkel Borch-Jacobsen. Il suo è uno dei principali contributi di un serio ricercatore al Libro nero. Filosofo di formazione, dedicò la sua tesi a Le sujet freudien (Paris, 1982); poi ha insegnato filosofia all’Università di Strasburgo. Dal 1986 vive negli Usa, dove insegna all’Università di Washington. Nel 1991 ha pubblicato Lacan, il maestro assoluto (Einaudi); e, nel ’95, a Parigi, il già ricordato Ricordi d’Anna O.: una mistificazione durata 100 anni (Garzanti); che suscitò vivaci polemiche. Nel gennaio scorso, pochi mesi dopo la comparsa del Libro nero, Borch- Jacobsen, con Sonu Shamdasani, ha pubblicato Le dossier Freud, Enquête sur l’histoire de la psycanalyse (Les Empêcheurs de penser en ronde, Paris) in cui, svincolandosi del tutto, come storico, dalle facili accuse sia dei lacaniani che della Roudinesco di supposte “connivenze” con i terapeuti della Tcc presenti nel Libro nero, propone a tutto campo la sintesi del suo pluridecennale impegno su Freud e la psicoanalisi, sulla base di ricerche d’archivio e d’una accuratissima ricostruzione delle controversie. Egli perviene alla radicale conclusione che «le pretese della psicoanalisi si basano di fatto su una riscrittura tendenziosa della storia e dei dati clinici; e non sul consenso dei ricercatori».

Per arrivare alla conclusione che: «la psicanalisi in un certo qual modo non c’è mai stata (…) non ha mai avuto luogo». «Dal mito dell’ “autoanalisi” di Freud alle false dicerie propagate da lui sulla paziente Anna O., passando per le “manipolazioni narrative” della storia dei casi, alla interessata deformazione della verità nell’episodio della “teoria della seduzione” o alla sbalorditiva censura delle lettere a Fliess e di altri documenti imbarazzanti, è l’intera psicanalisi che si rivela realtà leggendaria, costruzione interpretativa, interpréfaction»: appropriatissimo neologismo coniato da Borch-Jacobsen.

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