lunedì 13 giugno 2011

Gli israeliani si preparano ad emigrare e i palestinesi a ritornare


Forse gli storici o antropologi culturali che sondano il corso degli avvenimenti umani possono identificare per noi una terra, oltre la Palestina, dove una percentuale di popolazione colona appena arrivata si prepara per esercitare il loro diritto di andarsene, mentre molte altre persone, con reali radici millenarie ma vittime di pulizie etniche, si preparano a esercitare il loro diritto al ritorno.
Di Franklin Lamb

Uno dei numerosi paradossi inerenti l'impresa coloniale sionista del XIX secolo in Palestina, è che questo progetto, sempre più logorato, annunciato durante la maggior parte del XX secolo come un rifugio in Medio Oriente per il “ritorno” degli ebrei europei perseguitati. Tuttavia, oggi, nel XXI secolo, buona parte degli occupanti illegali della terra della Palestina considerano sempre più frequentemente che l’Europa è il rifugio più desiderato per il ritorno degli ebrei del Medio Oriente.
Parafrassando al giornalista ebraico Gideon Levy, “Se i nostri antenati sognavano con un passaporto israeliano per scappare dall’Europa, oggi molti di loro sognano con un secondo passaporto per scappare in Europa”.

Potrebbe finire così il progetto sionista? ... 


Vari studi realizzati in Israele, uno dall’AIPAC e l’altro dal Fondo Nazionale Ebraico in Germania, mostrano che forse perfino la metà degli ebrei che vivono in Israele valuterà di lasciare la Palestina nei prossimi anni se le attuali tendenze politiche e sociali si mantengono. Un’inchiesta realizzata nel 2008 dal Menachem Begin Heritage Center, sito in Gerusalemme, rivelò che il 59% degli israeliani erano andati o erano in procinto di andare in un’ambasciata estera per chiedere informazioni o richiedere la cittadinanza ed un passaporto. Oggi si calcola che la cifra è del 70%.

Il numero di israeliani che pensano di lasciare la Palestina aumenta velocemente,secondo ricercatori dell’Università Bar-Ilan che fecero uno studio pubblicato di recente su Eretz Acheret (“Un posto differente”), un’ONG israeliana che mira a promuovere il dialogo culturale. Quello che emerge dallo studio fatto da Bar-Ilan è che più di 100.000 israeliani hanno già passaporti tedeschi e questa cifra aumenta di oltre 7.000 ogni anno in maniera accellerata.Secondo i funzionari tedeschi sono stati concessi dal 2000 più di 70.000 passaporti.

 
Oltre alla Germania, c’è più di un milione di israeliani con altri passaporti stranieri preparati nel caso la vita in Israele si deteriori. Uno dei paesi più attraenti per gli israeliani che vogliono emigrare, e dove meglio sono accolti, sono gli Stati Uniti. Attualmente più di 500.000 israeliani hanno passaporto statunitense e circa un quarto di milione ne ha fatto richiesta.
Durante i recenti incontri a Washington, tra la delegazione del primo ministro israeliano Netanyahu e gli agenti statunitensi d’Israele, funzionari dell’AIPAC assicurarono che, se sarà necessario e quando lo sarà, il governo degli USA fornirà velocemente passaporti statunitensi a ogni ebreo d’Israele che ne farà richiesta.
Gli arabi israeliani non avranno bisogno di richiederli.
L’AIPAC ha anche detto ai suoi interlocutori israeliani di avere fiducia nel fatto che il Congresso degli USA avrebbe approvato il finanziamento per gli ebrei israeliani emigrati in modo “da dare importanti sovvenzioni in denaro che facilitino la transizione verso il loro nuovo paese”.

 
A parte gli ebrei di Israele che potrebbe pensare di ottenere un passaporto sicuro per una terra diaspora, c’è una percentuale simile di ebrei in tutto il mondo che non faranno l’aliya. Secondo Jonathan Rynhold, professore del Bar Ilan, specializzato nelle relazioni statunitensi-israeliane, gli ebrei potrebbero essere più sicuri a Teheran che in Ashkelon in questo periodo, fino a quando Israele o gli Stati Uniti comincino a bombardare l’Iran.

Nelle interviste con alcuni di coloro che hanno collaborato alla realizzazione degli studi di cui sopra, o che li conoscono, s'identificano vari fattori che spiegano la fretta degli israeliani di (ottenere) passaporti stranieri, alcuni abbastanza sorprendenti, data l’ultranazionalista cultura israeliana.
Il denominatore comune è l’inquietudine e l’ansia, sia a livello personale che nazionale; il secondo passaporto è considerato come una sorta di polizza assicurativa “per la tempesta che si avvicina”, come spiegava un ricercatore dell’Eretz Acheret.
Altri fattori sono:
    * Il fatto che due o tre generazioni in Israele non siano state sufficienti per mettere radici laddove prima esistevano pochissime o nessuna (generazione). Per questo motivo, Israele ha prodotto una percentuale significativa di “re-immigrazione”- un ritorno di immigrati o dei loro discendenti al paese d’origine che, nonostante la propaganda sionista, non è la Palestina.
    * Il timore che fanatici religiosi tra i più di 600.000 coloni in Cisgiordania creeranno una guerra civile essenzialmente nei territori occupati da Israele nel 1967 e facciano diventare Israele sempre più uno stato ulta-fascista.
    * Le tensioni centripete nella società israeliana, specialmente tra gli immigrati russi che nella loro maggioranza rifiutano il sionismo. Dalla caduta del Muro di Berlino nel 1989, sono arrivati in Israele dall’ex Unione Sovietica qualcosa come un milione di ebrei, aumentando la popolazione di un 25% e formando la più grande concentrazione di ebrei provenienti dalla Russia in tutto il mondo. Ma oggi, gli ebrei russi costituiscono il maggior gruppo di immigrati provenienti dall’Israele, sono ritornati in massa per motivi che vanno dall’opposizione al sionismo, alla discriminazione e le promesse non mantenute in materia di lavoro e della “buona vita” in Israele. 
     Circa 200.000, ovvero il 22% dei russi che sono arrivati ​​in Israele dal 1990 ad oggi sono tornati a casa.Secondo il Rabbino Berel Larzar, che è stato il capo dei rabbini della Russia dal 2000 “(…) risulta tremendamente incredibile quante persone stiano ritornando. Quando gli ebrei se ne andarono non c’era comunità né vita ebraica. La gente considerava che essere ebreo era un errore storico capitato alle loro famiglie. Adesso sanno che possono vivere in Russia come parte integrante di una comunità e che non hanno bisogno d’Israele”.
    * Non c'è fede né rispetto verso i politici israeliani, la maggior parte dei quali sono considerati corrotti.
    * Sentimenti di ansia e senso di colpa perché il sionismo ha sequestrato il giudaismo e perché i valori giudaici tradizionali si sono corrotti.
    * La difficoltà crescente di dare risposte coerenti ai figli man mano che s'istruiscono e che sono più consapevoli della loro storia familiare, e di fatto, l’onestà con se stessi sulla questione del perché famiglie d’Europa e di altre parti stanno vivendo nella terra e nelle case rubate ad altre persone che ovviamente sono nativi del posto e che non provengono da nessun’altra parte del mondo.
    * Un nuovo apprezzamento che aumenta tra gli israeliani- assistito in modo significativo dalla complicità d’internet e la continua resistenza palestinese- della convincente narrativa palestinese che mette in dubbio quanto stabilito e che mina la storiella sionista del secolo scorso su “una terra senza popolo per un popolo senza terra”.
    * Il seminare paura da parte dei dirigenti politici affinchè i cittadini continuino ad appoggiare le politiche del governo, dalla bomba iraniana, agli innumerevoli “terroristi” apparentemente in tutti i luoghi pianificando un nuovo olocausto, o diverse minacce esistenziali che mantengono le famiglie spaventate che arrivano alla conclusione di non voler far crescere i loro figli in tali condizioni.

Dopo aver spiegato che parlava in qualità di cittadino privato e non come membro dei Democratici fuori d’Israele, Hilliel Schenker, nato a N.Y, ha suggerito che gli ebrei che arrivano in Israele “vogliono essere sicuri di avere la possibilità di un’alternativa al ritorno da dove sono partiti”. Egli ha aggiunto che le incertezze che complicano la vita moderna, e che Israele non viva in pace con nessuno dei suoi vicini, hanno contribuito al fenomeno che molti israeliani cerchino un passaporto europeo rifacendosi alle loro radici familiari, per ogni evenienza”.
Molti osservatori della società israeliana concordano sul fatto che uno dei principali impulsi, recenti anche se inaspettati, affinchè gli ebrei se ne vadano dalla Palestina sono stati gli ultimi tre mesi del Risveglio Arabo che ha messo in scacco i pilastri fondamentali del sstegno regionale ad Israele.

Secondo Layal, uno studente palestinese del campo di rifugiati di Chatila, che prepara la marcia di al-Naska verso la linea blu del sud del Libano per il 5 giugno “(…) Quello che gli occupanti sionisti della Palestina hanno visto da Piazza Tahir in El Cairo, fino a Marun al-Ras nel sud del Libano ha convinto molti israeliani che la resistenza araba e palestinese, anche se ancora agli albori, si trasformerà in un’ondata di massa e in buona parte pacifica, di tale grandezza che nessun arsenale di armi né nessuna amministrazione dell’apartheid potrà assicurare un futuro sionista in Palestina. Fanno bene a cercare posti alternativi per crescere le loro famiglie”.

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