lunedì 22 dicembre 2025

La vera storia di Babbo Natale

 
La storia di colui che oggi è conosciuto come Babbo Natale è lunga e complessa. La sua origine infatti può essere ascritta a un personaggio realmente esistito nel IV secolo d.C. il vescovo Nicola di Myra, il cui culto assunse un certo rilievo in Oriente nel VI secolo e in Occidente a partire dal IX, riprendendo alcune ritualità della religiosità pagana, in particolare quelle collegate al solstizio d'inverno, che nell'antica Roma erano presiedute da Saturno

I Saturnali venivano celebrati nella settimana tra il 17 e il 20 dicembre, prolungandosi in epoca imperiale fino al 24 e ripercorrevano simbolicamente la morte e la rinascita del Sole, il cui culto fu introdotto nella seconda metà del III secolo e istituzionalizzato da Aureliano con la festa del Dies natalis invicti solis, fissata il 25 dicembre. 

Qualche giorno dopo iniziavano le feste in onore di Giano e della dea Strenia, nel corso delle quali era pratica usuale lo scambio di doni
Nel timore che i nuovi culti ostacolassero la diffusione del cristianesimo, la Chiesa romana stabilì in quella stessa data la ricorrenza della nascita di Cristo, agevolando di fatto confluenze e sincretismi tra riti pagani e festività cristiana...


Il periodo dei Saturnali e delle feste per gli dei Giano e Strenia, che lo storico delle religioni Arnold van Gennep ha definito il "ciclo dei dodici giorni" (e che oggi corrisponde al periodo tra Natale a Capodanno), rappresentava un momento di sospensione dal quotidiano e di inversione e rovesciamento dei ruoli: come segnala l'antropologa Stefania Tiberini, nei Saturnali così come nel culto di San Nicola la ricorrenza solstiziale segnala una presenza della morte che si esorcizza nell'elargizione di offerte di doni ai bambini in ragione della loro posizione pre-sociale e pre-iniziatica, e dunque più vicina al nodo problematico della non-vita. 
I bambini sarebbero dunque un varco nella barriera che divide i morti dai viti, e le questue infantili – elemento ricorrente in queste celebrazioni, così come nella statunitense festa di Halloween e nel Día de los Muertos del Messico – sembrano confermare questa adiacenza della morte al mondo dell'infanzia, sancendo una relazione di complementarietà tra esistenze terrene e presenze che popolano l'aldilà.

Mediatore di questa precaria alleanza sembra farsi anche Santa Claus, corruzione olandese di Sanctus Nicolaus (ma noto nel mondo germanico come Niklaherr, Samichlaus, Sanda Klaus) e versione esportata in America dalle migrazioni dal XVII secolo: e se in Europa settentrionale e nel Nord Italia in quel periodo nell'iconografia di questo personaggio risaltano ancora gli attributi vescovili (il manto rosso, la mitra sul capo), come ha segnalato Marco Belpoliti "San Nicola è anche un santo che ha molte facce, discendente dagli spiriti che accompagnano il corteo di Hellequin, il cacciatore che rapisce i bambini e guida il corteo dei morti nelle notti invernali". 

In Austria Sankt Nikolaus era non a caso accompagnato da Krampus, o Knecht Ruprecht negli altri paesi germanici, un essere maligno dotato di due minacciose corna sul capo, di una lingua che gli penzolava dalla bocca e di un sacco in cui imprigionava i bambini capricciosi; tratti e comportamenti comparabili ricorrono frequentemente nelle tradizioni folkloriche dell'Alto Adige e del Tirolo.

Americanizzandosi, Santa Claus perde il suo doppio negativo e con esso tutti gli attributi ambigui che in Europa lo connotano come severo garante del processo di inculturazione infantile. 

Storicamente, questa flessione semantica asseconda il processo di affermazione della vita privata e la crescita del ruolo economico e sociale della famiglia, innestandosi nelle prime fasi dell'industrializzazione e della formazione e consolidamento delle borghesie cittadine. 

Non è un caso che Santa Claus dismetta in questo stesso periodo gli antichi panni ecclesiastici per assumere le fiabesche fattezze di un vecchio barbuto e grasso, dunque icona di opulenza, serenità e benessere: così lo tratteggia nel 1863 su «Harper's Weekly» la penna del disegnatore statunitense Thomas Nast, dando un volto propriamente statunitense a quel generoso distributore di doni che già Charles Dickens aveva ritratto nel 1843 nel suo celebre Canto di Natale.

Da prodigo dispensatore di piccole gioie, Santa Claus inizia progressivamente ad assumere le fattezze di un vero dio delle merci negli anni Trenta, grazie a una campagna pubblicitaria senza precedenti che la Coca-Cola Company ideò per ovviare al divieto – generato da diversi procedimenti penali e da campagne denigratorie sulla presenza di sostanze nocive nella bevanda – di utilizzare a questo scopo immagini di bambini. 

Il disegnatore di origini svedesi Haddon Sundblom ipercaratterizzò il complesso di segni già allestito da Nast, creando il peculiare codice simbolico che sostanzia l'iconografia contemporanea di Santa Claus.

Più che soggiogato dall'ideologia del consumismo, Babbo Natale ne sembrerebbe dunque uno dei prodotti più riusciti poiché garantisce il perdurare di questa forma occidentale di potlatch che alimenta l'industria del consumo e allo stesso tempo riafferma la connotazione familistica e affettiva dello scambio di beni, che rafforza la memoria sociale rendendo i beni materiali cosa diversa da quelle "stampelle a sostegno di uno storpio" che secondo la definizione di Ivan Illich sono le merci.

Fonte: www.old.unina.it

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