giovedì 25 luglio 2024

Chi governa gli Stati Uniti?


Le elezioni presidenziali del 2016 si sarebbero dovute disputare tra due candidati, ovvero, Jeb Bush e Hillary Clinton, i cui “turni” erano arrivati.

E poi Donald Trump è sceso da una scala mobile, ha preso il suo “turno” e da allora l'establishment non è più stato lo stesso, proprio perché era il loro di “turno”.

Nel 2020 è stato il “turno” di Joe Biden, un uomo la cui unica credenziale politica era quella di essere rimasto in giro abbastanza a lungo da restare fedele a cose come il Senato e la Vicepresidenza.

Ora, nel 2024, è di nuovo il “turno” di Joe Biden. Nessuno nel suo partito aveva l'impressione che fosse il miglior candidato, il miglior attivista o il miglior presidente, ma dannazione, era il suo di “turno”.

E ora i democratici sono nel panico perché il candidato che sta prendendo il suo “turno” in realtà sta implodendo ...


Il crollo pubblico di Biden ha spaventato i democratici, ma non hanno ancora una risposta su come fermare il disastro che tutti gli altri potevano vedere arrivare da chilometri di distanza; e non esiste una buona strategia se non quella di convincere i leader del partito a confrontarsi con il loro candidato e chiedergli di dimettersi. Ma come si fa a togliere il “turno” a Biden quando esso rappresenta la cosa più sacra in politica?

Non è un problema esclusivamente democratico. Il Partito repubblicano mise Bob Dole contro Bill Clinton e John McCain contro Barack Obama, perché era il loro “turno”; lasciarono che Mitt Romney si scontrasse con Obama una seconda volta perché era il suo “turno” e dopo che i repubblicani persero due elezioni presidenziali consecutive, perché presentavano candidati dell’establishment al loro “turno”, gli elettori ne erano così stufi che fecero quello che non avrebbero mai fatto prima e scelsero Trump.

 Perché, infatti, non era il suo di “turno”.
La politica del “turno” è quella che continua a imperare.

I candidati alla presidenza concorrono perché hanno le reti più grandi di colleghi politici, donatori e attivisti di partito. È come se la Major League di Baseball favorisse i giocatori sulla base dell'anzianità e della loro capacità di creare reti, non sulla base di quanto bene sanno lanciare o colpire.

Ma a differenza dello sport, la politica non è una meritocrazia, non è nemmeno una democrazia, è un'oligarchia.

Gli elettori pensano con presunzione alle elezioni come a una grande competizione politica, ma è come giudicare le aziende in base ai discorsi principali dei loro amministratori delegati. Le elezioni sono la parte meno importante della politica, tutti gli aspetti veramente importanti si svolgono a porte chiuse
Ciò che fanno i politici non è candidarsi, ma creare reti, stringere accordi e pianificare la propria carriera.

Tale rete, che a volte chiamiamo con nomi del tutto inadeguati come “establishment” o “addetti ai lavori”, è la ragione per cui Biden è di nuovo attivo nel 2024: perché non è possibile liberarsene.

Le persone che pensano ingenuamente che Obama stia segretamente guidando l’amministrazione Biden non capiscono suddetta rete o come funziona. 

Obama affrontò Hillary quando fu il suo “turno” nel 2008, vinse e strinse un accordo che avrebbe spostato la rete democratica più a sinistra. Fece di nuovo la stessa cosa nel 2020 coinvolgendo la gente di Bernie Sanders ed Elizabeth Warren in modo che l’amministrazione Biden fosse ancora più radicale ed estrema della sua.

Ma da dove viene Obama? 

Proviene da quella rete di attivisti radicali, donatori e personale governativo che ora governa il Paese. Obama non è un genio o un uomo brillante, è solamente un avvocato come tanti e per giunta poco originale; uno delle decine di migliaia usciti dalla Ivy League che si uniscono al lato politico della rete e che vogliono massimizzare le proprie ambizioni.

E le reti di sinistra gli hanno dato l’opportunità di farlo in cambio di una diffusione più profonda del Partito Democratico nel governo e nel Paese. 
E poi è arrivato il suo “turno”.

Obama non voleva che Biden gli succedesse. Lo scartò a favore di Hillary, e poi cercò di portare un candidato a sorpresa contro di lui nel 2020. Ma alcune cose sono sacre e nemmeno Obama, soprattutto una volta uscito dalla Casa Bianca, potrebbe togliere il “turno” a Biden due volte.

Ma, a dirla tutta, non è proprio il “turno” di Biden: è il turno degli strateghi, dei lobbisti, dei membri dello staff, dei donatori, degli alleati e delle figure più nebulose conosciute come “ammanicati” che hanno accumulato potere nel corso degli anni. 
Hanno investito nel suo successo, ne vogliono trarre profitto e non si arrenderanno facilmente.

Cercare di sostituire Biden con Gavin Newsom (a parte le questioni legali e logistiche) sarebbe uno scontro tra due reti che richiederebbe o attente trattative o una vera e propria guerra civile. Questa è una cosa che si fa sempre con i principali rivali che difatti diventano vicepresidenti o membri del gabinetto, ma sostituire un presidente in carica che ha anche vinto la nomina e ha raccolto/speso un'enorme fortuna richiederebbe un livello di trattative delicate come quelle necessarie a portare la pace in una guerra civile africana.

Soprattutto se quel presidente è instabile, incline ad attacchi di rabbia ed è isolato dagli stessi alleati politici la cui ricchezza e potere dipendono dalla vittoria di Biden per un secondo mandato.

Non si tratta solo di Jill e Hunter Biden: Joe Biden ha decine di migliaia di bocche politiche da sfamare. È stato raccolto denaro, promessi favori, la gente ha acquistato case nelle comunità dormitorio di Washington, i lobbisti si sono assicurati grossi contratti e i donatori hanno aperto i loro portafogli.

Sostituire Biden con un altro candidato sconvolgerebbe gran parte di Washington, manderebbe in fumo decine di miliardi di dollari e creerebbe una massiccia instabilità in questa corrotta economia locale. Gran parte di Washington preferirebbe affrontare la tempesta (dal momento che una nuova campagna elettorale richiederà tanti soldi quanti quelli già spesi) e preservare l'integrità delle reti e i giuramenti legati al mignolo che consentono agli “interessi speciali” di acquistare influenza.

Questo è ciò che significa veramente “è il suo turno”.

Non è impossibile per i democratici sostituire Biden, ma nonostante tutto l’allarmismo su Trump, che è il loro unico slogan elettorale, nessuno di loro lo vede come una minaccia esistenziale sufficiente a sconvolgere uno stile di vita politico che ha permesso a un truffatore mediocre come Biden di arrivare fin qui.

Le persone che non capiscono tutto ciò erano sconcertate dal fatto che Biden si sarebbe candidato e che avrebbe ottenuto la nomination. Dopo l'ultimo dibattito, gran parte del partito si è lasciato prendere dal panico e gli outsider hanno pensato che Biden sarebbe stato scaricato. La verità è che i democratici vorrebbero poterlo fare.

La corruzione del “turno” minaccia ancora una volta la sopravvivenza del partito e tuttavia non riescono a staccarsene perché i partiti sono veicoli di carrierismo e denaro.
Le reti attorno ai politici costruiscono carriere e muovono denaro, e tali reti governano il Paese.


Quando le persone si sono domandate “chi governa il Paese” dopo il dibattito Trump-Biden, la risposta è che sono le stesse persone che l'hanno sempre governato, ovvero, il circolo di insider a Washington.

I politici in uno stato di evidente declino mentale come Biden, o la senatrice Dianne Feinstein, che continuano a presentare bozze di legge, approvarle, twittare ed esprimere opinioni forti su questioni nei loro comunicati stampa non sono aberrazioni, sono sintomi di un problema molto più grande.

Non solo Biden, ma molti, se non la maggior parte, dei funzionari eletti sono prestanome che esistono per mediare accordi favorevoli tra le loro reti di donatori e membri dello staff, quelle di altri funzionari eletti e quelle della burocrazia che fanno la politica nell'effettivo. La porta girevole tra dipendenti, personale, incaricati e lobbisti che si spostano tra amministrazioni, uffici, consigli di amministrazione, aziende, think tank e aziende governative è la vera forza che governa il Paese. I politici fanno la loro parte, incontrandosi, salutando e approvando ciò che viene detto loro sarà positivo per la loro carriera all'interno delle reti di cui fanno parte. In breve, sono dei semplici addetti alle relazioni pubbliche.

E se accumulano abbastanza cachet, un giorno toccherà anche a loro “il turno” di essere al vertice.

Ecco perché i democratici non riescono a risolvere la grana Biden: il problema non è il declino di un uomo, ma una crisi sistemica
Biden incarna ciò che i democratici, il sistema e la politica sono realmente e, sebbene sostituirlo potrebbe risolvere il problema nell'immediato, non aggiusterà l'intero sistema.

Biden è un test di quanto il sistema sia disposto a rischiare e quanto è alta l’implosione pubblica che è disposto a tollerare per proteggere il sacro diritto del “turno”. I democratici lasceranno cadere il loro partito per proteggere il sistema? Continueranno a mentire ai loro elettori e ai loro donatori? I media generalisti, che per breve tempo si sono allontanati dalle bugie dopo il dibattito, riprenderanno a sostenere la truffa?

Altri “Biden”, alcuni anziani, confusi e inetti come Joe, altri di mezza età, confusi e inetti come Kamala, e alcuni addirittura giovani, confusi e inetti come Alexandra Ocasio Cortez, riempiono il sistema perché è così che funziona. Non è una meritocrazia che eleva i migliori, una democrazia scelta dal popolo, ma un'oligarchia che gestisce il sistema ed è anche IL sistema.

Traduzione di Francesco Simoncelli


A pochi giorni dall'uscita di questo articolo, alcune decisioni sono state finalmente prese, non ci resta che osservare il dispiegamento di tutti i mezzi di propaganda a favore della candidata "di turno"..

Dopo Biden, ecco come funziona la propaganda


Nei prossimi 100 giorni prima del voto i media faranno di tutto per raccontare una “nuova Kamala”, depurandola dagli errori, dai fallimenti politici e dalle dichiarazioni stonate.

Il partito Democratico che ha eliminato Biden e l’ha sostituito, pare ormai certo in attesa della ratifica della convention di Chicago a Ferragosto, con una sfidante di 22 anni più giovane, Kamala Harris, la vicepresidente.
Donald Trump, 78 anni, è diventato il più anziano dei concorrenti ed è stato precipitato, in una settimana, in tutt’altra campagna.

Fino ad allora era il candidato che, le elezioni del 2024, poteva perderle soltanto lui: a metà luglio, nella media RCP dei sondaggi nazionali, aveva tre punti di vantaggio, 47,4% contro 44,4%, su Biden, diventato un avversario concorrente decrepito. E impresentabile anche agli occhi di Barack Obama, Nancy Pelosi, Chuck Schumer e George Clooney, il politburo segreto e non eletto del comitato centrale del partito Democratico. [...]
Fonte: www.money.it

Secondo alcuni: Trump può inciampare

 Kamala Harris potrebbe essere una sfida, ma deve dimostrare leadership.

Trump è rimasto il più anziano candidato in corsa per la Casa Bianca nella storia Usa. 
Trump crede di avere niente meno che "dio" al suo fianco; 
Kamala, che non ha brillato come vice di Biden, ha invece riconosciuto di doversi "guadagnare" la nomination. 
Può darsi che i giochi siano già fatti e che pochi dem (oltre alla finora debole Harris) vogliano mettere la faccia su una probabile sconfitta. Ma attenzione: i sondaggi si stanno riequilibrando, i finanziamenti stanno rientrando.
Articolo completo: www.quotidiano.net


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