domenica 20 agosto 2023

Vita extraterrestre, la ricerca si fa “esilarante“


Secondo una nuova ricerca condotta da un team di ricercatori guidati dalla University of California - Riverside, all'elenco delle molecole da ricercare su esopianeti simili alla Terra per ottenere indizi della presenza di vita bisogna aggiungere il protossido d'azoto. 

Lo studio suggerisce che la concentrazione della sostanza nelle loro atmosfere potrebbe essere molto maggiore rispetto alla Terra

di Giuseppe Fiasconaro 

Ottenere indicazioni circa l’esistenza di forme di vita su mondi alieni implica la ricerca nelle loro atmosfere di composti chimici gassosi che gli addetti ai lavori chiamano firme biologiche, biosignature in inglese. 
La possibilità di individuare queste eventuali forme di vita aliene è dunque vincolata dalla nostra capacità di riconoscere, attraverso queste biofirme, l’impatto che esse hanno nell’ambiente ...


Ossigeno (O2), anidride carbonica (CO2), metano (CH4), ozono (O3), ammoniaca (NH3), fosfina (PH3), cloruro di metile (CH3Cl), etano (C2H6) e metantiolo (CH3SH) sono alcune delle molecole in fase gassosa che gli astrobiologi usano per cercare tracce di vita sui pianeti attorno ad altre stelle.

Secondo un team di scienziati della University of California – Riverside (Usa), a questo elenco di sostanze chimiche bisogna aggiungere un ulteriore gas: il protossido d’azoto (N2O), una molecola chimica scoperta nel 1772, nota per i suoi effetti esilaranti e usata in medicina nella pratica anestetica, per la sedazione e nel trattamento del dolore.

I ricercatori sono arrivati a questa conclusione dopo aver condotto uno studio in cui, utilizzando diversi modelli – biogeochimici, fotochimici e spettrali – hanno cercato di quantificare i limiti delle abbondanze e della rilevabilità del composto in pianeti analoghi della Terra in orbita attorno a stelle di sequenza principale. 

Più nel dettaglio, il team ha prima determinato la quantità di protossido di azoto che gli esseri viventi potrebbero produrre su un pianeta simile alla Terra. Hanno quindi realizzato modelli che simulano la presenza del pianeta attorno a diversi tipi di stelle. Infine, hanno stimato le quantità di protossido d’azoto che potrebbero essere rilevate da un osservatorio come il James Webb Space Telescope. I risultati della ricerca sono dettagliati in un articolo pubblicato ieri sulla rivista Astrophysical Journal.

«Ad oggi solo pochi ricercatori hanno preso in seria considerazione il protossido d’azoto come firma biologica. Noi pensiamo che questo sia un errore», dice Edward Schwieterman, astrobiologo alla University of California – Riverside e primo autore della pubblicazione.

Sulla Terra esistono diversi modi in cui gli esseri viventi possono produrre protossido di azoto. I microrganismi, ad esempio, trasformano costantemente composti azotati in protossido di azoto attraverso un processo metabolico che può produrre energia cellulare utile. 
La sua concentrazione nell’atmosfera non è però ritenuta sufficientemente alta da rendere il composto una biofirma. Questo, insieme al fatto che anche i fulmini possono produrre piccole quantità della sostanza, ha suggerito che cercarlo nell’atmosfera di esopianeti potrebbe non valere la pena. 
I ricercatori di Riverside, tuttavia, la pensano diversamente. «Questa conclusione», sottolinea infatti Schwieterman, «non tiene conto dei periodi della storia della Terra in cui le condizioni oceaniche avrebbero consentito un rilascio biologico molto maggiore di protossido d’azoto. Le condizioni in quei periodi potrebbero rispecchiare la situazione attuale di un esopianeta»

Illustrazione artistica del sistema planetario Trappist-1.
Qualcuno dei pianeti che ne fanno parte potrebbe contenere protossido di azoto,
una biofirma della presenza di vita che il telescopio spaziale James Webb potrebbe rivelare.
Crediti: Nasa/Jpl-Caltech

I risultati dello studio suggeriscono che nelle atmosfere di pianeti simili alla Terra la concentrazione di protossido d’azoto potrebbe essere anche di due ordini di grandezza maggiore rispetto alla Terra, assumendo oceani ricchi di nutrienti e condizioni evolutive o ambientali in cui il processo di denitrificazione è limitato; una concentrazione che attorno ad alcuni tipi di stelle potrebbe eccedere mille parti per milione. 

Secondo lo studio, inoltre, osservatori come il James Webb Space Telescope, che è in grado di studiare le atmosfere degli esopianeti, potrebbe essere utilizzato per cercare protossido di azoto. 

Il vicino sistema planetario Trappist-1, che contiene alcuni intriganti mondi simili alla Terra, sarebbe un buon banco di prova per testare l’idea, spiegano i ricercatori. Il telescopio James Webb potrebbe rilevare il composto su uno di questi esopianeti facendo osservazioni a lunghezze d’onda di 2,9 μm.

«Abbiamo voluto proporre questa idea per mostrare che non è escluso che si possa trovare questo gas traccia», conclude Schwieterman . «Ma solo se lo cerchiamo».

Per saperne di più: Leggi su The Astrophysical Journal l’articolo:
 “Evaluating the Plausible Range of N2O Biosignatures on Exo-Earths: An Integrated Biogeochemical, Photochemical, and Spectral Modeling Approac” di Edward W. Schwieterman, Stephanie L. Olson, Daria Pidhorodetska, Christopher T. Reinhard, Ainsley Ganti, Thomas J. Fauchez, Sandra T. Bastelberger, Jaime S. Crouse, Andy Ridgwell e Timothy W. Lyons

Fonte: www.media.inaf.it

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