Nel tedesco corrente gelassenheit significa “calma”, “tranquillità”. La pregnanza storica del termine ha le sue origini nella tradizione mistica (da Meister Eckhart, il mistico domenicano vissuto tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo), in cui indicava il sich lassen, la dedizione e il completo abbandono a Dio.
L’esistenzialismo ricondusse il verbo alla radice di lassen, “lasciare”, “lasciar essere”, alludendo ad un rapporto con le cose che le rispetta nel loro disvelarsi. Jung arrivò ad intendere tale abbandono come l’attingere del singolo alla forza o volontà “superiore” che è possibile scoprire attraverso la funzione trascendente.
Al termine di un periodo di enorme sofferenza (1912-1919) ci rende partecipi della sua estenuante esperienza personale:
“Mi sentivo letteralmente sospeso. Temevo di perdere il controllo di me stesso e di divenire preda dell’inconscio, e quale psichiatra sapevo fin troppo bene che cosa ciò volesse dire. Le tempeste si susseguivano, e, che potessi sopportarle, era solo questione di forza bruta”.
Invece di riagganciarsi a idee o ad una situazione sociale, Jung decise di “lasciar accadere”, di abbandonarsi (dal francese à ban donner: mettere a disposizione di chiunque) (mettre à bandon - « laisser au pouvoir de » NdC), di mettersi a disposizione delle immagini interiori che l’inconscio gli forniva. Possiamo supporre che in un simile contesto non basti scartare le resistenze e lasciar accadere, e che sia necessario un doppio ancoraggio.
Da una parte la cura del corpo, la regolarità dell’attività professionale, dall’altra lo sforzo costante per obbligare le emozioni a prendere forma. “Perché altrimenti – scrive – correvo il rischio che fossero esse ad impadronirsi di me. Vivevo in uno stato di continua tensione, e spesso mi sentivo come se mi cadessero addosso enormi macigni.
Primo mandala di Jung - 1916
Dopo sei anni al limite della dissociazione, cominciarono a presentarsi forme nuove”. Jung le dipinse senza sapere che cosa fossero.
Notò che l’oscurità interiore si dissipava e che si stabiliva da sé una solidità: “Quando cominciai a disegnare i mandala vidi che tutto, tutte le strade che avevo seguito, tutti i passi intrapresi, riportavano ad un solo punto, cioè nel mezzo. Mi fu sempre più chiaro che il mandala è il centro (…). Cominciai a capire che lo scopo dello sviluppo psichico è il Sé”.
E nel passaggio dalla pittura all’idea si creò lo spazio che gli consentì l’elaborazione. Jung considerò il simbolismo del mandala come una fenomenologia del Sè e definirà l’archetipo del Sè come la totalità della psiche, l’integrazione compiuta tra conscio e inconscio, quello stato psichico che scaturisce dal superamento della dissociazione, dei poli conflittuali, il centro.
Quindi, alcuni anni dopo chiamò funzione trascendente la cooperazione tra dati consci e dati inconsci, di immagini ed idee, al fine dell’integrazione di contenuti precedentemente non noti.
Probabilmente anche basandosi sulle esperienze personali descritte postulò che le strade per conoscere l’inconscio fossero sostanzialmente due: una procede nella direzione della raffigurazione (la cui manifestazione più immediata è l’attività onirica e quelle più “mediate”, se così si può dire, sono, nella psicologia analitica, l’immaginazione attiva e la sandplay), l’altra della comprensione. Ed affermò: “Le due strade sembrano essere l’una il principio regolatore dell’altra, entrambe sono legate da un rapporto di compensazione.
La raffigurazione estetica ha bisogno della comprensione del significato, e la comprensione ha bisogno della figurazione estetica”. Le due tendenze s’integrano in quella che appunto denominò funzione trascendente. Piace a questo punto ricordare l’esortazione di Hillman sul “fare anima”, cioè: “fare anima attraverso l’immaginazione delle parole”. Bisogna notare che la capacità di abbandonarsi consapevolmente alle proprie immagini interiori, in una condizione di sospensione della quotidianità, non è solo foriera di insight rispetto agli strati profondi della psiche. Tale stato di liminalità è, infatti, anche fonte di intuizioni ed ispirazioni che consentono di allentare la struttura normativa personale e sociale, di affrontare gli ostacoli incontrati dalla mente conscia, e talora di superarli col sorgere di modelli e simboli nuovi.
Riflettendoci, è strano che le origini oniriche del pensiero moderno non siano altro che una nota in calce alla storia: mentre le idee più utili di Cartesio furono accolte a braccia aperte, la reazione alla loro origine fu violentemente negativa. Cartesio stesso fece notare la profonda importanza sia delle sue immagini oniriche, sia dei suoi calcoli e operazioni logiche per costruire il suo metodo. Ma pochi dei suoi contemporanei vollero accettare l’anomalia della conoscenza fondata sul sogno e, di conseguenza, sulle immagini.
La conoscenza degli archetipi della mente (i mandala dipinti da Jung e quelli della tradizione alchemica ed orientale raffigurano l’archetipo del Sé) è in effetti difficile a chi crede nella sola forza denotativa delle parole: una definizione solitamente indica il punto di intersezione di una tassonomia, mentre un archetipo è ciò che proietta la tassonomia stessa.
Bibliografia:
C.G. Jung. La vita simbolica. Biblioteca Bollati Boringhieri,
E.G. Humbert. L’uomo alle prese con l’inconscio. Riflessioni sull'approccio junghiano
Reale B. Le macchie di Leonardo.
Nella weltanshaung junghiana infatti, l’abbandono insito nel geshehenlassen (“lasciar accadere”) assume una valenza-chiave: lasciare che tutto avvenga e tuttavia conservare intatta una vigilanza etica ed intellettuale sono le condizioni dell’individuazione, di una prova totale di sé stessi ...
Da note biografiche apprendiamo che Jung maturò personalmente tale concetto in seguito ad un momento che molti conoscono: l’assenza di riferimenti
Al termine di un periodo di enorme sofferenza (1912-1919) ci rende partecipi della sua estenuante esperienza personale:
“Mi sentivo letteralmente sospeso. Temevo di perdere il controllo di me stesso e di divenire preda dell’inconscio, e quale psichiatra sapevo fin troppo bene che cosa ciò volesse dire. Le tempeste si susseguivano, e, che potessi sopportarle, era solo questione di forza bruta”.
Invece di riagganciarsi a idee o ad una situazione sociale, Jung decise di “lasciar accadere”, di abbandonarsi (dal francese à ban donner: mettere a disposizione di chiunque) (mettre à bandon - « laisser au pouvoir de » NdC), di mettersi a disposizione delle immagini interiori che l’inconscio gli forniva. Possiamo supporre che in un simile contesto non basti scartare le resistenze e lasciar accadere, e che sia necessario un doppio ancoraggio.
Da una parte la cura del corpo, la regolarità dell’attività professionale, dall’altra lo sforzo costante per obbligare le emozioni a prendere forma. “Perché altrimenti – scrive – correvo il rischio che fossero esse ad impadronirsi di me. Vivevo in uno stato di continua tensione, e spesso mi sentivo come se mi cadessero addosso enormi macigni.
Primo mandala di Jung - 1916
Dopo sei anni al limite della dissociazione, cominciarono a presentarsi forme nuove”. Jung le dipinse senza sapere che cosa fossero.
Notò che l’oscurità interiore si dissipava e che si stabiliva da sé una solidità: “Quando cominciai a disegnare i mandala vidi che tutto, tutte le strade che avevo seguito, tutti i passi intrapresi, riportavano ad un solo punto, cioè nel mezzo. Mi fu sempre più chiaro che il mandala è il centro (…). Cominciai a capire che lo scopo dello sviluppo psichico è il Sé”.
E nel passaggio dalla pittura all’idea si creò lo spazio che gli consentì l’elaborazione. Jung considerò il simbolismo del mandala come una fenomenologia del Sè e definirà l’archetipo del Sè come la totalità della psiche, l’integrazione compiuta tra conscio e inconscio, quello stato psichico che scaturisce dal superamento della dissociazione, dei poli conflittuali, il centro.
Quindi, alcuni anni dopo chiamò funzione trascendente la cooperazione tra dati consci e dati inconsci, di immagini ed idee, al fine dell’integrazione di contenuti precedentemente non noti.
Probabilmente anche basandosi sulle esperienze personali descritte postulò che le strade per conoscere l’inconscio fossero sostanzialmente due: una procede nella direzione della raffigurazione (la cui manifestazione più immediata è l’attività onirica e quelle più “mediate”, se così si può dire, sono, nella psicologia analitica, l’immaginazione attiva e la sandplay), l’altra della comprensione. Ed affermò: “Le due strade sembrano essere l’una il principio regolatore dell’altra, entrambe sono legate da un rapporto di compensazione.
La raffigurazione estetica ha bisogno della comprensione del significato, e la comprensione ha bisogno della figurazione estetica”. Le due tendenze s’integrano in quella che appunto denominò funzione trascendente. Piace a questo punto ricordare l’esortazione di Hillman sul “fare anima”, cioè: “fare anima attraverso l’immaginazione delle parole”. Bisogna notare che la capacità di abbandonarsi consapevolmente alle proprie immagini interiori, in una condizione di sospensione della quotidianità, non è solo foriera di insight rispetto agli strati profondi della psiche. Tale stato di liminalità è, infatti, anche fonte di intuizioni ed ispirazioni che consentono di allentare la struttura normativa personale e sociale, di affrontare gli ostacoli incontrati dalla mente conscia, e talora di superarli col sorgere di modelli e simboli nuovi.
Riflettendoci, è strano che le origini oniriche del pensiero moderno non siano altro che una nota in calce alla storia: mentre le idee più utili di Cartesio furono accolte a braccia aperte, la reazione alla loro origine fu violentemente negativa. Cartesio stesso fece notare la profonda importanza sia delle sue immagini oniriche, sia dei suoi calcoli e operazioni logiche per costruire il suo metodo. Ma pochi dei suoi contemporanei vollero accettare l’anomalia della conoscenza fondata sul sogno e, di conseguenza, sulle immagini.
mandala dipinti su pietre
La conoscenza degli archetipi della mente (i mandala dipinti da Jung e quelli della tradizione alchemica ed orientale raffigurano l’archetipo del Sé) è in effetti difficile a chi crede nella sola forza denotativa delle parole: una definizione solitamente indica il punto di intersezione di una tassonomia, mentre un archetipo è ciò che proietta la tassonomia stessa.
Il logos dell’anima predilige il linguaggio immaginale dell’intuizione e dell’evocazione, così come si manifesta nella durata di una psicoterapia analitica. L’individuazione degli archetipi è più agevole quando una parte della psiche si traspone in simboli e, in definitiva, in immagini, come avviene normalmente in sogno. Di tale trasposizione è inoltre capace il poeta, il pittore, lo scultore, un mimo sacro, o il danzatore che traccia spirali attorno al cuore, mostrando la vita che ne procede come un filo dal gomitolo…
Tratto dal sito del Prof. Gabriele La Porta (www.gabrielelaporta.wordpress.com)
Dr Max Lanzaro is an Italian Psychiatrist currently based in London, Verona and Naples; he has worked as a Consultant in Italy (Naples, Milan) and in the UK (London, Exeter)
Tratto dal sito del Prof. Gabriele La Porta (www.gabrielelaporta.wordpress.com)
Dr Max Lanzaro is an Italian Psychiatrist currently based in London, Verona and Naples; he has worked as a Consultant in Italy (Naples, Milan) and in the UK (London, Exeter)
Bibliografia:
C.G. Jung. La vita simbolica. Biblioteca Bollati Boringhieri,
E.G. Humbert. L’uomo alle prese con l’inconscio. Riflessioni sull'approccio junghiano
Reale B. Le macchie di Leonardo.
L*inconscio è il libro della nostra Anima,in esso c’è tutto di noi,il nostro Inferno e il nostro Paradiso.Emilio
RispondiEliminaL'inconscio collettivo è una cosa da affrontare se si vuole migliorarsi.
RispondiEliminaQuando una esperienza è ripetuta spesso da molte persone questa entra profondamente nell'inconscio collettivo.
La paura di una strada buia e ignota è un esempio, anche se non vi è alcun pericolo o non si è mai avuto alcun problema in strade buie.
Ci sono state un numero incontabile di persone che hanno avute brutte esperienze in strade buie, così abbiamo paura a prescindere.
Gianni
Non é proprio così!
EliminaPer rispetto al maestro Jung devo correggerti:
L'inconscio collettivo, per Jung, è costituito sostanzialmente da schemi di base universali, impersonali, innati, ereditari che lui chiama archetipi. Di questi i più importanti sono: il «Sé» (il risultato del processo di formazione dell'individuo), l'«ombra» (la parte istintiva e irrazionale contenente anche i pensieri repressi dalla coscienza), l'«anima» (la personalità femminile così come l'uomo se la rappresenta nel suo inconscio) e l'«animus»(la controparte maschile dell'anima nella donna). Particolarmente rilevante è l'archetipo femminile che chiama anima o animus (nella sua controparte maschile).
Quello di cui parli é il subconscio personale, con cui prima o poi devi fare i conti.
Esso racchiude tutte le tue pulsioni, i vizi , le cose represse, etc.
Quello che il tuo subconscio personale fa é mandarti simboli (archetipi) tramite sogni o visioni, "prendendoli" dell'inconscio collettivo, per farti evolvere e superare i problemi che hai con te stesso.
La paura della strada buia o del buio in generale é causata da un problema molto comune tra la gente... il non sapere ció che puo' succedere e come. Quella del buio è una paura che si manifesta generalmente tra i 2 e i 6 anni di età. Fa parte del normale processo di crescita del bambino. Mentre il neonato non ha paura dell’oscurità perché è abituato a stare al buio nel ventre della mamma, a quest’età, invece, il bambino inizia a fare le prime esperienze di percezione di sé. Si accorge di avere una certa vulnerabilità. Sente la paura di essere abbandonato. Avverte il timore di perdere dei riferimenti. Inizia a percepire la sua debolezza. La paura del buio diventa così un grande contenitore nel quale far confluire tutti i suoi timori. E questo contenitore può essere riempito fino alla vecchiaia.
Il nostro subconscio però manderá dei simboli nei sogni e nelle visioni per farci "vedere" il problema e per prenderne coscienza e superarlo quindi per evolvere. Trasmutare i metalli in oro ha lo stesso significato... é una presa di coscienza e trasmutazione in buono. Infatti Jung era un grande alchimista.
Spero di essere stato chiaro
Le paure giustificate sono utilissime per la propria incolumità e sopravvivenza, sono quelle immaginarie (di cui l'inconscio collettivo è pieno, appunto) il problema :)
Elimina...il subconscio personale é pieno di paure non quello collettivo.
EliminaJung non è l'oracolo.
EliminaLe sue sono solo opinioni personali anche se autorevoli, alcune vere, altre forse, altre no.
Stando alle scienze della mente l'inconscio collettivo si forma esclusivamente dalle esperienze ripetute innumerevoli volte da innumerevoli persone per generazioni, il resto sono i programmi dell'istinto o apprendimento.
L'inconscio collettivo è pieno di paure, la paura del buio e delle strade buie sono di queste, molte persone per molte generazioni hanno avuto brutte esperienze nel buio che si è profondamente radicato nell'inconscio collettivo.
Catherine ha ragione sono le paure, quale che ne sia la provenienza, che stanno alla base della sopravvivenza. Quelle patologiche sono un altro discorso.
Gianni
Tutti hanno opinioni personali. Ma ci sono opinioni personali e opinioni personali.
RispondiEliminaJung ha trascorso una vita a studiare la psiche, il mito, l'alchimia e altri studi tradizionali.
É chiaro che non é l'oracolo ma la sua opinione ha una importanza universale e senza tempo.
Quindi é importante chiarire certi suoi pensieri non capiti o travisati nella nebbia new age odierna.
CHIEDO RISPETTO PER IL SUO LAVORO!
Ora che mi sovviene... cosa sarebberero le Scienze della Mente da cui attingi le tue Veritá??
RispondiEliminaIO RISPETTO SOLO ME STESSO.
EliminaLe persone hanno bisogno di essere libere non di riconoscersi in qualcosa o qualcuno.
La storia è piena di verità che poi si sono dimostrate false, il passare la vita a studiare qualcosa non è garazia di nulla, Jung è solo uno dei tanti niente di più, solo mettendo in discussione ogni cosa si hanno nuove comprensioni.
Il lavoro di Jung non va rispettato a prescindere, come quello di chiunque altro, altrimenti le sue verità diventano le nostre e se si sbaglia su qualcosa il suo errore diventa il nostro.
Gianni
Nelle tue parole IO RISPETTO SOLO ME STESSO c'è la prova definitiva di quanto l'uomo sia caduto in basso e di quanto IL NULLA stia avanzando tanto da offuscare la Bellezza.
EliminaVeramente sono indignato di tali commenti.
Sigmund Freud e C.G.Jung non sono state affatto persone come tutte le altre,ma sono stati invece coloro che hanno scoperto un mondo nascosto,quello dell*Inconscio,un mondo che nessuno prima di loro aveva mai avuto il coraggio di esplorare.Ed è proprio grazie al loro coraggio che le Scienze della Mente hanno potuto comprendere che molti problemi esistenziali dell*uomo avevano spesso origine da traumi o esperienze negative legate al passato e quindi che esisteva anche la possibilità,rimuovendoli,di superare questi problemi e quindi di migliorare positivamente anche le loro esistenze.Per loro solo ringraziamento e rispetto.Emilio
RispondiEliminaNon metto in discussione Freud e Jung
EliminaIl loro lavoro ha portato a nuove conoscenze sulla mente, detto questo non hanno la verità in tasca il loro è stato un tentativo di comprensione niente di più, altri molto meno noti e celebrati sono andati ben oltre.
Ma hanno scoperto l'acqua calda.
E' ben noto che alcune delle più antiche e venerate tradizoni queste cose le dicono da millenni, lo stesso vale per lo sciamanesimo.
Bruce Lipton leader dell'epigenetica ha riconosciuto che le loro scoperte già le sapevano gli antichi e così anche altri ricercatori in altri ambiti, pare che c'è una amnesia diffusa, idolatrare gli Jung e Freud di turno è più facile che farsi domande.
Gianni
Effettivamente pare che c'è...
RispondiEliminaL'idolatria spero sia per Jung non per Freud!
RispondiEliminaIo come credo molti di voi ho letto alcune opere dei due grandi Maestri della Mente e devo dire in tutta sincerità che sono rimasto profondamente colpito in maniera positiva non tanto da quelle di Freud ma invece da quelle di Jung.In modo particolare mi ha colpito una sua frase che egli cita nel suo testo più famoso,Ricordi,sogni e riflessioni,dove proprio lui.scienziato razionale e ateo convinto,dopo aver vissuto personalmente una N.D.E.,cambiando radicalmente opinione su una eventuale forma di vita dopo la morte pronuncia,dando così speranza non solo a lui stesso ma a tutta l*Umanita*che crede nell*Aldila*,la seguente e illuminante frase...........DOPO LA MORTE C*E*QUALCOSA DI INCREDIBILE E DI MERAVIGLIOSO ALLO STESSO TEMPO,QUALCOSA CHE NESSUN PENSIERO UMANO POTRA*MAI IMMAGGINARE.Carl Gustav Jung.Emilio
RispondiEliminaFreud vedeva il problema e ne cercava la causa (quasi sempre attribuita alla sfera sessuale).
RispondiEliminaJung vedeva il problema e cercava di trasformarlo in opportunitá cercando di interpretare gli archetipi rilevati dal paziente aprendoli la strada alla ricerca su sè stesso.
Infatti Jung si allontanó ben presto dal suo maestro Freud pur rispettandolo in pieno. Oddio, dei battibecchi ci furono!
C'è da dire che nel Libro Rosso di Jung si intravedono i limiti del Genio-uomo che capisce di non poter arrivare alla Verità perché non é riuscito a capire sé stesso!
É chiaro che prima di lui qualcuno aveva detto le stesse cose... si trova sempre qualcuno che lo ha detto prima! Ma si deve rispettare e applaudire chi le cose le fa riemergere dal baratro del tempo prima che si perdano e le aggiorna con termini adeguati al periodo! Se non era per Jung forse adesso non ero qui a parlare con voi!