Il “Pensiero desiderativo”
Si definisce “Pensiero desiderativo” quando coi nostri sensi percepiamo non la realtà pura, concreta e tangibile, ma quella illusoria che vorremmo vedere, quella desiderata, ambita, voluta, ma non posseduta, allo stesso modo di come si percepisce il reale ...
Vi sono persone, invece, nelle quali – a causa di un vissuto fatto di privazioni o per una situazione drammatica che stanno vivendo – il desiderio non rimane tale, ed il sogno allora si trasforma in una realtà che si va a sovrapporre a quella concreta, dove il soggetto può rifugiarsi per non sentirsi più affranto e privato di qualcosa percepito come essenziale e che viene spesso simbolicamente rappresentato in un oggetto. Quindi, in tal modo, queste persone sopravvivono alla loro condizione patologica.
La Mente è schiava dei nostri Desideri
Possiamo quindi dire che inevitabilmente la nostra mente è schiava dei nostri desideri. Quando desideriamo un oggetto o che si verifichi una certa situazione, inviamo dei segnali al nostro cervello, indicando allo stesso che ci manca qualcosa; quella cosa che rappresenta ciò che desideriamo e che desideriamo spesso proprio perché non possiamo averla.
Quindi, faremo di tutto per poter raggiungere e realizzare i nostri sogni, impegnandoci al massimo per realizzarli, e tutte le decisioni che prenderemo a partire dal momento in cui esprimiamo un desiderio, saranno condizionate da esso.
La giusta via sta nel mezzo. Non bisogna privarsi dei desideri e dei sogni, perché essi sono la spinta per migliorarci e per fare sempre di più, per cambiare la nostra vita in qualcosa di diverso che rispecchia le nostre aspettative. Tuttavia, seguire dei sogni impossibili o irrealizzabili e fissarci su di essi, può portarci a sviare il senso della realtà, delle nostre possibilità e dei nostri limiti; in tal caso può essere dannoso, perché ci fa insistere verso una meta che non è alla nostra portata.
La consapevolezza di chi siamo e di cosa possiamo fare, la si prova soltanto testandola, mettendoci alla prova e rischiando. In fondo, è in questo modo che si conoscono i propri limiti, però insistere ad oltranza in una direzione, quando è ormai chiaro che le aspettative che ci siamo prefissati vanno ben oltre le nostre capacità pratiche, ci fa finire ad essere ossessionati da ciò che non potremo mai essere od avere.
Quindi, finiremo per passare la nostra vita nel rimpianto di quello che, per mille sfortune, non ci è toccato, perdendo la possibilità di godere di tutto ciò che abbiamo a disposizione. Comprendere i nostri limiti è una consapevolezza coraggiosa, anche perché ci mette nelle condizioni giuste per raggiungere mete alla nostra portata.
Lo studio di Yale
Uno studio effettuato presso l’Università di Yale (Usa), i cui risultati sono pubblicati su Psychological Science, una rivista dell’Association for Psychological Science, ha dimostrato che non esiste una realtà oggettivamente uguale per tutti, ma tutti noi abbiamo la visione della realtà, desunta dalle nostre capacità intellettive, dal grado di cultura, dalle esperienze fatte e dalle nostre personali convinzioni. Quindi, non esiste una realtà “oggettiva” uguale per tutti, ma una realtà “soggettiva” a misura di ognuno di noi.
Concentrarsi su qualcosa, osservarla attentamente e a lungo, dovrebbe fornirci maggiori dettagli su di essa e renderla più concreta e affidabile, invece proprio questo atteggiamento renderebbe la cosa, l’oggetto, meno “reale” e più virtuale. Tutto a causa della mente che, mai come in questo caso, “mente”. “Capire dove gli oggetti sono, appare come uno dei più importanti e fondamentali lavori del cervello. È sorprendente scoprire che anche questo semplice tipo di percezione, è distorta dalla nostra mente“. Questo concetto è stato elaborato dallo psicologo Brandon Liverence, secondo il quale la concentrazione su un oggetto, dunque, distorcerebbe la percezione di questo, soprattutto quando viene messo in relazione con un altro.
Cerchiamo di spiegare meglio questo concetto. Insieme al collega Brian Scholl, Liverence ha analizzato le esperienze di un gruppo di volontari nell’osservare alcuni oggetti. I partecipanti sono stati invitati, ognuno in modo diverso, a concentrare la loro attenzione su un oggetto tralasciando gli altri che, tuttavia, potevano sempre vedere. I risultati di questo test, hanno per esempio mostrato come i partecipanti ritenessero che gli oggetti osservati con maggiore attenzione, fossero più vicini a loro di quanto non lo fossero in realtà.
“L’attenzione è il modo in cui la nostra mente entra in contatto con le cose nell’ambiente, e che ci permette di vedere, ricordare e interagire con queste cose. Tendiamo a pensare che l’attenzione chiarisca cosa c’è là fuori. Ma essa può anche distorcere la realtà”, ha concluso Liverence.
Il senso dello studio è che non sempre la mediazione della mente è imparziale e quindi, è bene tenerne conto, soprattutto quando dobbiamo giudicare qualcosa e il nostro giudizio non collima con quello di un’altra persona. Lo stesso vale per i desideri e le cose che vogliamo a tutti i costi; prima di lanciarci in imprese avventate, dovremo razionalizzare quanto essi siano effettivamente alla nostra portata.
Articolo di Marilena Cremaschini – esperta in grafologia, criminologia e counseling/coaching
Tramite: www.fisicaquantistica.it
Fonte: www.marilenacremaschini.it
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RispondiEliminaBuchi percettivi che fanno molto riflettere.
RispondiEliminaAbbiamo dei buchi percettivi che vengono usati dai mentalisti, dagli illusionisti e dagli ingegneri sociali che usandoli inseriscono nelle menti quello che vogliono o alterano la realtà vista.
IL PRIMO.
Quando l'attenzione è su una cosa benchè gli occhi vedono tutto, il cervello non vede e non considera la periferia, qualunque cosa venga inserita nella periferia non importa se fissa o saltuaria non viene vista.
Se due squadre di 4 giocatori e una delle due squadre con divisa nera si passano la palla e si contano i passaggi non ci si accorge che ad un certo punto uno dei giocatori neri è stato sostituito da un attore vestito da gorila, esperimento classico.
IL SECONDO.
Verificabile subito con il fai da te
Quando il cervello non vede più una cosa esistente al suo posto ci mette cosa c'è nella sua periferia.
Su un foglio di carta non importa se bianco, grigio, a quadretti eccetera, disegnare una X di un'unghia, a 5 dita sulla sua destra disegnare un PUNTO ben visibile ad esempio un quarto di unghia, le dimensioni dei due segni sono irrilevanti.
Portare il foglio a una trentina di centimetri dalla faccia.
Chiudere l'occhio sinistro e usando l'occhio destro concentrare l'attenzione sulla X, muovere lentamente il foglio avanti e indietro. Ci sarà un luogo in cui il punto scompare e al suo posto il cervello ci mette lo sfondo della carta.
Usando solo queste due cose immaginate cosa può essere inserito nella mente senza che se ne sia neppure consapevoli.
Gianni