Il regresso morale che la terza guerra di Gaza ha innescato ha conosciuto una accelerazione quando il primo ministro israeliano ha paragonato i palestinesi agli Amaleciti, la popolazione che Saul, il primo re d’Israele, riceve l’ordine di sterminare da parte del profeta Samuele (cfr. 1 Sam 15).
Come Saul, anche Benjamin Netanyahu sta combattendo in nome di Dio una guerra sporca, perpetrando una strage assurda e progettando il trasferimento forzato di oltre 2 milioni di palestinesi. Tutti sappiamo perfettamente che il risultato di questa vergogna sarà, qualunque sia l’esito della guerra, una situazione ancora più difficile, e che questa strage è la premessa di altre stragi più grandi, forse di nuove guerre. Ma lui lo fa in nome di Dio, come del resto fa Hamas quando compie le sue stragi e attentati. Questo conflitto tra messianismi ci può spingere a dichiarare il fallimento di Dio e del suo pensiero?...
Come molti sapranno, i re di Israele furono tre: Saul, David e Salomone.
Il meno famoso dei tre è Saul, della tribù (guarda caso) di Beniamino. Saul è un omone mite, sembra addirittura buono, ma non lo è, e commette un errore che Dio non può perdonare. Sulle prime non sembra una cosa grave, ne abbiamo viste di peggio. Prima di una battaglia decisiva Saul, il re, deve offrire a Dio il sacrificio rituale, ma il sacerdote (Samuele) non arriva, è in ritardo, e Saul per paura decide di officiare personalmente il sacrificio. Il re si fa, dunque, anche sacerdote. E Dio gli toglie il favore.
Se ci pensiamo, era inevitabile. Dio può tollerare che il suo popolo abbia un re, ma non tollera che il re offici un sacrificio, dimostrando di non credere in Lui; non tollera che il re faccia un uso strumentale della fede (che non ha) per giustificare il proprio potere – la sola cosa in cui, alla prova dei fatti, egli confida.
In altre parole: il re faccia il re, ma entro i limiti della sua competenza.
C’è anche il caso di Davide, uno che ne ha fatte di tutte, ma al quale, viceversa, Dio non toglie mai il suo favore. Davide si comporta più volte da farabutto, questo è vero, ma resta un uomo umile davanti a Dio, e non si sostituisce mai a Lui. Quando suo figlio Assalonne si ribella e scoppia la guerra, Davide è costretto a fuggire con i suoi in una zona romita.
Un re non è in nessun modo il garante del rapporto tra Dio e il suo popolo. I re passano, la loro sede è questo breve tempo, ossia la storia, e il loro operato si svolge sul piano della politica e non ha nulla a che vedere con l’eternità.
La risposta di Gesù è limpida e provocatoria, se pensiamo che si riferisce a un uomo (Cesare) che è anche dio. Il senso delle sue parole è letterale, non c’è bisogno di troppe interpretazioni.
Quello che è di Cesare è di cesare, ok, ma quello che è di Dio non è di Cesare.
Fonte: www.vita.it



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