di Achille Damasco
Lo scopo principale di una qualunque teoria dell’evoluzione è descrivere scientificamente i modi e i tempi con cui le specie viventi sono cambiate nei circa tre miliardi di anni della vita sulla Terra.
Al momento questo compito è affidato al Neodarwinismo, ma mentre esso permette di spiegare quei cambiamenti entro i confini di una certa specie (microevoluzione), l’evoluzione verso un’altra specie, genere o gruppo tassonomico superiore (macroevoluzione) è ancora oggetto di dibattito.
In più, manca ancora una spiegazione condivisa dei tempi dell’evoluzione, dal momento che questi sono tali che essa può essere praticamente ferma per periodi lunghissimi, per poi manifestarsi con “esplosioni” di specie nuove ...
Una nuova descrizione viene offerta dal sottoscritto e dal biologo Alessandro Giuliani nell’articolo pubblicato sulla rivista scientifica Physica A “A Resonance based model of Biological Evolution”.
Questo lavoro corrisponde a quella che abbiamo chiamato “Teoria delle Risonanze Evolutive” (TRE).
Per iniziare, definiamo prima il “campo di gioco”, poi i tre principi su cui si fonda. Immaginate uno spazio cartesiano formato da tante direzioni (assi), ognuna delle quali rappresenta tutte le possibilità con cui un carattere di una certa specie si può manifestare (tipo di pelle, dimensioni, forma degli arti e così via). In tale spazio, una popolazione di una certa specie va a concentrarsi in un suo punto, l’insieme di quei caratteri che permettono di sopravvivere e di riprodursi (la massima fitness).
Il primo postulato della nostra teoria è che l’effetto combinato di mutazioni genetiche casuali e selezione naturale sia solo un’oscillazione della frequenza dei caratteri (percentuale del numero di volte in cui compaiono) rispetto alla situazione ottimale. Tale tipo di oscillazione (con frequenza che chiamiamo ω0) può durare anche per un tempo indefinito, senza portare a niente più che microevoluzioni; qui sta la prima differenza col darwinismo.
La selezione naturale non crea nuovi caratteri, non ne indirizza la comparsa e non li accelera, ma come una molla, trattiene una popolazione verso la configurazione ottimale, un punto di equilibrio.
Le mutazioni sono di fatto un disturbo, sono cieche rispetto all’ambiente e quantitativamente incapaci di provocare un sostanziale e duraturo re-arrangiamento della rete di interazione proteica a causa del numero abnorme di vincoli biofisici interni agli organismi.
Per spiegare però come sia avvenuta l’evoluzione, passiamo agli altri due principi.
Il secondo postulato dice che se un certo parametro esterno alla specie considerata (ambientale o legato ad un’altra specie) passa da un valore tipico ad uno ben diverso, esso non assumerà subito il nuovo valore ma oscillerà tra i due con frequenza tanto maggiore quanto più grande è la loro differenza.
Per cominciare a capire come avviene l’evoluzione, occorre il terzo postulato.
Tra i vari parametri esterni alla specie capaci di oscillare, potrebbe essercene almeno uno capace di suscitare variazioni epigenetiche: una variazione epigenetica è un cambiamento nei caratteri di un organismo tramite un modo diverso con cui si manifesta un certo gene, senza però che cambi il DNA. Qualcosa di simile succede ogni volta che ci abbronziamo: non è il nostro DNA a cambiare, ovviamente, semplicemente viene prodotta più melanina perché i relativi geni già esistenti vengono invocati di più per l’esposizione al sole.
Tornando al terzo principio, esso postula che se una frequenza di oscillazione di un parametro esterno di questo tipo (che indichiamo con ωE) è proprio la stessa di quella con cui la specie compie microevoluzione (ω0), allora si ha un brusco cambiamento dei caratteri, capace di causare una macroevoluzione.
L’uguaglianza tra tali due frequenze (ω0 = ωE) l’abbiamo chiamata “condizione di evoluzione”.
In linea di principio, tale cambiamento sarebbe “infinito”, ma in questo caso per infinito intendiamo che la popolazione in esame riesce a trovare un nuovo punto di equilibrio che rappresenta la nuova forma della specie evoluta.
Riepilogando, può sembrare anti-intuitivo per una teoria dell’evoluzione che la prima cosa che si postuli sia una grandissima stabilità per i sistemi biologici, ma in realtà è pleonastico, visto che ogni individuo di una certa specie è riconoscibile come tale. Le specie viventi sono come molecole date da atomi vincolati tra loro dalle loro interazioni reciproche, con mutazioni e selezioni analoghe ad una semplice agitazione termica e le risonanze come quel fenomeno che rompe i vincoli pre-esistenti per crearne dei nuovi.
Ci sono ancora molti altri elementi di novità rispetto alle teorie attuali, più impliciti e meno immediati, che ora andremo a rivelare.
Per quanto riguarda i modi, ribadiamo che la TRE si poggia sul concetto di “fenotipi discreti” e di interazioni proteina-proteina (indispensabili per il metabolismo), per cui ogni specie corrisponde ad un profondo attrattore e solo in base a condizioni estremamente stringenti è possibile la macroevoluzione.
Non vale più la frase fatta “se l’ambiente cambia, la specie si evolve”, né si possono più usare le metafore del tipo marcia, catena, albero o cespuglio perché viene negato ogni “continuismo”.
Per quanto riguarda i tempi, siamo abituati a pensare all’evoluzione come ad un processo lentissimo, che si realizza solo grazie a tempi lunghissimi. Questo discorso è relativamente corretto ma ormai oggi dovremmo tutti sapere che l’evoluzione è tutt’altro che graduale.
Anziché ipotizzare ad hoc improvvisi sbalzi del tasso di mutazioni genetiche casuali, i tre postulati della teoria offrono una soluzione anche a questo problema.
Siccome per definizione la risonanza si basa sull’uguaglianza di due frequenze, allora il tempo per i cambiamenti è fissato, ma lo “spazio” percorso nello spazio dei caratteri diverge, per cui siccome spazio/tempo=velocità allora si spiegano così gli slanci evolutivi.
Il caso più eclatante è la cosiddetta “esplosione del pre-Cambriano”, quando circa 500 milioni di anni fa, dopo un miliardo e mezzo di anni di stasi evolutiva, comparvero in tempi relativamente brevissimi i precursori della stragrande maggioranza delle specie attuali.
Nella nostra teoria, che per certi versi “capovolge” il Neodarwinismo, gli organismi più semplici sono proprio quelli più difficili da “macroevolvere”, ma sono anche quelli che lo fanno più velocemente quando è soddisfatta la Condizione di Evoluzione.
La TRE presenta anche dei “corollari”, conseguenze della nostra analogia con gli oscillatori armonici forzati da una forza oscillante: se la frequenza esterna è molto maggiore di quella propria di una specie, si può avere una forma particolare di estinzione (dovuta alla perdita di variabilità e quindi di adattabilità all’ambiente e non ad una mera distruzione degli individui o delle risorse); se invece stiamo nel caso opposto (frequenze esterne bassissime), cambia solo in parte l’ampiezza di oscillazione, cioè non si ha né estinzione né evoluzione.
Come potete capire, ormai più che di “evoluzione” sarebbe più corretto parlare di “trasformazioni”, specialmente alla luce delle seguenti complicazioni formali, atte a raggiungere una maggiore aderenza alla realtà. Se si introduce un fatto fondamentale, cioè che i caratteri non sono l’uno indipendente dall’altro ma legati in modo complicato tra loro, si può estendere il modello ricorrendo però a un nuovo set di strumenti concettuali, quello delle transizioni di fase.
Ogni volta che vediamo dell’acqua bollire assistiamo ad una transizione di fase, che in generale è un cambiamento che coinvolge un sistema formato da moltissime parti e che avviene in modo brusco, per l’effetto però anche di un solo fattore esterno che può cambiare eventualmente in modo continuo. Nel nostro caso, aumentando la temperatura, l’acqua ad un certo punto non si limita più a riscaldarsi ma si trasforma, passando da liquida a gassosa.
Il nostro lavoro propone una formula orientativa della probabilità di evoluzione, che non potrebbe mai essere esaustiva, ma offre comunque spunti di riflessione.
Sviluppando semplicemente il ragionamento in modo coerente con i tre postulati, si afferma che un’evoluzione è tanto più probabile quanto più: (1) la specie è complessa per numero di caratteri, (2) è complessa per il numero delle loro correlazioni e (3) quanto più è sensibile a fattori ambientali capaci di cambiamenti epigenetici (o ad altri fattori che godono delle stesse proprietà attribuite dalla TRE ai fattori epigenetici).
Per le stesse ragioni appena elencate, la complessità può anche diventare un forte ostacolo alla macroevoluzione, ma permette di averne una più radicale quando essa avviene. Possiamo quindi cominciare a spiegarci la sempre maggiore complessità che ci viene presentata nel passaggio dalla prima cellula all’uomo.
La TRE è sperimentabile e falsificabile, offre un quadro concettuale che con pochi principi riesce a dare una risposta coerente e quantitativa a molti problemi aperti dell’evoluzione, ma richiede un cambio di paradigma nel modo di pensare.
Riflettendo sul concetto di “meccanismo darwiniano”, per coerenza col pensiero di Darwin, sintetizzato anche dal titolo completo della sua opera principale, la TRE non è darwiniana (né neodarwiniana) perché la selezione naturale non è più l’elemento che fa in modo che i cambiamenti dei caratteri, a prescindere dalla loro origine, comportino col tempo il passaggio da una specie ad un’altra. Di conseguenza, il fatto che in linea di principio il punto di massima fitness dipenda dal contesto, anche dal punto di vista matematico non ha importanza, ciò che serve conoscere è la frequenza di oscillazione intorno ad esso. La TRE non si occupa, come si è fatto finora, di dare la caccia a chi sia il fenotipo più adatto oppure di giustificarlo a posteriori e di dire trionfalmente la banalità che la selezione naturale l’ha premiato.
Alla TRE interessa l’evoluzione come “moto”, non come descrizione dello stato iniziale e finale, evitando così il ricorso alla tautologia.
A dire che il pesce è fatto per vivere in acqua mentre l’anfibio per vivere anche sulla terraferma siamo tutti bravi.
Ciò che potrebbe trarre in inganno è il fatto che compaiono i concetti di “selezione naturale”, “mutazione casuale” e “epigenetica”, tre cose notissime ai biologi. In realtà, è come dire che la celeberrima equazione di Einstein “E=mc2” non abbia niente di speciale perché Einstein non ha scoperto né l’energia, né la massa né la velocità della luce…mentre invece è un’equazione rivoluzionaria!
Nel caso della TRE, i tre fattori citati sono come attori noti al pubblico ma sotto un regista e uno sceneggiatore d’avanguardia: selezione e mutazioni sono vecchie glorie che hanno accettato un cameo, l’epigenetica è co-protagonista mentre inizia ad avere un ruolo da protagonista il concetto di forma. Lo spettacolo, per voi lettori, in ogni caso, è appena iniziato.
Fonte: www.enzopennetta.it
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