giovedì 10 ottobre 2019

Un nemico indispensabile - Il paradosso dell’ossigeno

L’ossigeno è un elemento-chiave per scoprire la profonda interrelazione esistente fra il mondo dei viventi e l’ambiente che lo circonda. Nel corso della storia del nostro pianeta le sue proprietà chimiche hanno causato notevoli cambiamenti all’ambiente e hanno profondamente influenzato le strategie adattative degli organismi viventi.

Non esiste più l'aria di una volta!

Le prime forme di vita comparvero sulla Terra circa 3,5-3,8 miliardi di anni fa in presenza di un’atmosfera riducente (cioè priva di ossigeno molecolare, O2) composta principalmente da ossidi di carbonio (CO e CO2), metano (CH4), azoto (N2), ammoniaca (NH3) e idrogeno (H2). In queste condizioni, negli oceani proliferarono organismi unicellulari capaci di trarre energia da reazioni chimiche quali la trasformazione di CO2 in metano.

Col tempo alcuni batteri impararono a sfruttare la luce solare come fonte di energia, sviluppando un primitivo fotosistema capace di alimentare reazioni mirate alla sintesi di sostanze nutritizie a partire da composti quali l’acido solfidrico (H2S) e il biossido di carbonio. Solo (si fa per dire) circa 2,5 miliardi di anni fa, l'evoluzione di tali sistemi li portò ad utilizzare l’acqua (H2O) come donatore di elettroni: era nata la fotosintesi ossigenasica, e i cianobatteri che la effettuavano iniziarono ad espellere O2 come rifiuto ..


Cominciò così una lenta ma inesorabile modificazione della composizione chimica dell’atmosfera terrestre: la percentuale di ossigeno presente nell’aria aumentò progressivamente fino ad attestarsi sui valori attuali (21% O2, 78% N2) tra 900 e 400 milioni di anni fa.

Questo processo, unitamente al progressivo raffreddamento della crosta terrestre, provocò una notevole trasformazione dell’habitat marino e terrestre: comparvero nuove forme di vita capaci non soltanto di convivere con l'ossigeno, ma anche di sfruttarlo come fonte di energia mediante reazioni di ossidazione di composti organici.

Il successo evolutivo degli organismi aerobi li ha gradualmente portati a ‘surclassare’ gli anaerobi, che tuttavia sopravvivono in nicchie abitative inadatte ai loro concorrenti (come le sorgenti calde sottomarine). Carte vincenti dell’evoluzione degli aerobi sono state la capacità di sviluppare sistemi atti a distribuire l’ossigeno in tutti i distretti dell’organismo e quella di dotarsi di meccanismi di difesa dai suoi effetti tossici.

Shuttle molecolari per l'ossigeno.

La distribuzione dell'ossigeno negli organismi unicellulari o nei pluricellulari più semplici è garantita dalla semplice diffusione, poiché la superficie della cellula è direttamente a contatto con l’aria o con l’acqua nella quale l’O2 è disciolto. Dimensioni corporee maggiori implicano la necessità di garantire la capillare distribuzione dell’ossigeno a tutti i distretti dell'organismo: ciò si realizza grazie a vere e proprie navette (shuttle) molecolari presenti nel sistema circolatorio, ovvero proteine costruite attorno ad uno o più ioni metallici capaci di legare una molecola di O2 e di rilasciarla al momento opportuno.

Gli esponenti più noti della categoria sono l'emoglobina e la mioglobina (contenenti ferro) dei vertebrati, ma non vanno dimenticate le emocianine (contenenti rame) di invertebrati come molluschi e artropodi.

Nei mammiferi, la mioglobina è la proteina capace di immagazzinare ossigeno nel tessuto muscolare, dove viene utilizzato per produrre l’energia necessaria a sostenere il costoso meccanismo di contrazione delle fibre muscolari. 

L’emoglobina invece circola nel sangue, veicolando l’ossigeno dai polmoni a tutte le cellule dell’organismo: essa cede ossigeno nelle zone in cui è scarso (nei tessuti) e compie l’azione inversa là dove esso è più abbondante (nei polmoni), mentre la CO2 subisce il destino inverso.

Entrambe le proteine legano O2 in modo reversibile: il punto di ancoraggio è uno ione ferroso che si trova associato ad un gruppo eme, responsabile dell’intenso colore rosso del sangue. 

Il meccanismo è molto efficiente, ma può essere perturbato da sostanze capaci di legarsi al ferro al posto dell'ossigeno. E’ ciò che accade in caso di avvelenamento da monossido di carbonio, il quale si produce quando un combustibile brucia in presenza di quantità insufficienti di aria. Il CO ha una affinità chimica per il ferro dell’emoglobina molto maggiore rispetto all’ossigeno: la formazione di un legame Ferro-CO blocca il meccanismo di trasporto dell'ossigeno e può determinare un avvelenamento letale.

Caccia al radicale libero. 

E' quasi banale dire che l'ossigeno ci è indispensabile per vivere: sono sufficienti pochi istanti di anossia per provocare danni irreversibili all’organismo e – nel caso più tragico – la morte. 
Eppure l’ossigeno è anche tossico in quanto può generare specie chimiche molto reattive, capaci di danneggiare le strutture cellulari e di dare il via a varie patologie. 
Perciò gli organismi hanno sviluppato efficaci strategie di difesa.

L’ossigeno è un efficace agente ossidante: funge da comburente in reazioni altamente energetiche che utilizzano come combustibile le molecole organiche presenti negli organismi viventi. Queste reazioni sono spontanee (in quanto termodinamicamente favorite) ma, per nostra fortuna, necessitano di un ‘innesco’ di natura cinetica; se così non fosse, qualunque organismo esposto all’aria brucerebbe come uno zolfanello. 

L'innesco è controllato da catalizzatori enzimatici, ovvero, proteine con funzioni catalitiche. Per progressiva riduzione dell'O2 si originano a cascata le seguenti specie chimiche: il radicale superossido (O2·-), il perossido di idrogeno (H2O2 o acqua ossigenata), il radicale ossidrile (OH·) e l`acqua (H2O). 

Quest’ultima molecola è termodinamicamente stabile e poco reattiva, ma le tre precedenti non lo sono affatto; di conseguenza tendono a reagire rapidamente con altre sostanze, per dar luogo a specie più stabili. All’interno di una cellula possono reagire con i lipidi, le proteine, i singoli aminoacidi, gli acidi nucleici e, in generale, con tutta la materia organica che costituisce la cellula stessa, provocando danni spesso irreversibili.

Uno dei meccanismi dell’invecchiamento è costituito proprio dalla progressiva ossidazione delle componenti cellulari ad opera di radicali liberi, e la loro marcata reattività appare implicata nell’insorgere di alcune malattie. 

Di fronte ad un simile pericolo, le cellule hanno messo a punto alcune strategie di difesa.
Esse contengono agenti riducenti (i cosiddetti antiossidanti) che possono trovarsi disciolti nel citoplasma (come l’acido ascorbico, o vitamina C, e il glutatione) o legati alle membrane cellulari (come i carotenoidi e la vitamina E). 
Queste molecole, quando vengono a contatto con un radicale dell’ossigeno, lo riducono immediatamente ad acqua, impedendogli di generare un danno strutturale.

Una strategia più sofisticata fa uso di enzimi degradativi, come le superossido dismutasi (SOD) e le catalasi, che agiscono da ‘spazzini cellulari’. Le SOD sono proteine contenenti centri metallici a base di rame, zinco, manganese o ferro. Esse captano i radicali superossido generati dal metabolismo cellulare e, grazie alle proprietà chimiche dei centri metallici in esse contenuti, producono O2 e perossido di idrogeno (H2O2). 
Quest’ultimo, sebbene meno reattivo dei radicali superossido, è ancora potenzialmente tossico ed è a questo punto che intervengono le catalasi: enzimi a base di ferro o manganese capaci di trasformare il perossido di idrogeno in acqua e O2.

Ma l’apparato enzimatico cellulare non si è limitato a difendersi dai potenziali agenti ossidanti. 

Nel corso dell’evoluzione, esso ha anche appreso a sfruttare l’effetto tossico dei metaboliti dell’ossigeno come meccanismo di difesa contro gli agenti patogeni. I linfociti polimorfonucleati presenti nel sangue riconoscono i batteri e li neutralizzano grazie ad un enzima chiamato mieloperossidasi. 

Esso catalizza la reazione fra gli ioni cloruro (Cl-) e il perossido di idrogeno presenti nei fluidi cellulari generando un agente altamente tossico, lo ione ipoclorito (OCl-) che, detto per inciso, è anche il componente principale della varechina. Quest’ultimo viene rilasciato in prossimità della membrana cellulare del batterio invasore, danneggiandola in modo irreparabile e provocandone la morte.

Questi pochi esempi fanno trasparire la duttilità e la complessità dei meccanismi attraverso i quali gli organismi viventi garantiscono la propria sopravvivenza, difendendosi dalle insidie dell’ambiente che li circonda.

Enzo Laurenti, Elena Ghibaudi

Fonte: www.alambicco.unito.it

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