Non sarà una novità ma è il caso di ribadire ogni tanto come l'insegnamento della materia "Storia" nelle scuole italiane ed europee (e nel resto del mondo) divulghi, volente o nolente, un insegnamento soggettivo.
Si sa "la Storia la scrivono i vincitori" (frase, pare, citata da Göring durante il processo celebrato contro i crimini nazisti a Norimberga).
Più precisamente alcuni storiografi, pur raccontando vicende oggettive - o comunque basate su testi delle epoche di riferimento (sempre che siano a loro volta oggettivi) - hanno la curiosa tendenza a lasciare aleggiare un certo tipo di interpretazione dei fatti stessi.
Al resto ci pensiamo noi, perché chi è nato e ha studiato in una determinata regione del globo fa si che quasi automaticamente patteggi per la stessa.
Quel che segue è un esempio destinato a chi è curioso di ascoltare qualche altro suono di campana ...
Catherine
Fu il conquistatore più grande, innovando nella strategia e nella tecnologia militare costruì un impero che univa "Cindia", più il mondo islamico, la Russia, la Polonia e l'Ungheria.
Fino ai nostri giorni però lo ha perseguitato la fama del guerriero sanguinario, dello sterminatore analfabeta.
Secondo Voltaire era afflitto da un segreto senso d' inferiorità nei confronti di civiltà più raffinate. Ora (2004) una rivelazione impone di rendergli giustizia: per la prima volta si ha la prova che il condottiero mongolo Gengis Khan sapeva leggere e scrivere, era attratto dalla religione e studiava la storia ...
Lo ha scoperto uno studioso di fama internazionale, Tengus Bayaryn, un cinese della minoranza etnica mongola.
Bayaryn ha dedicato la vita allo studio di Gengis Khan, è rimasto sempre vicino alle origini più remote di quell'impero leggendario poiché fa ricerca all'università di Hohhot nella Mongolia inferiore.
Ma la credibilità di Bayaryn è riconosciuta tra gli storici e l'eco della sua recente scoperta sta facendo il giro del mondo. L'agenzia stampa cinese Xinhua ha segnalato qualche giorno fa il suo ritrovamento di un "editto autografo" scritto da Gengis Khan nel 1219, dentro un libro di meditazione dedicato a un religioso taoista. «Ho ordinato ai miei ministri di compilare un manuale tratto dalle tue lezioni, e lo leggerò personalmente» dice il messaggio.
L' autore è proprio lui: il capo delle orde barbare che terrorizzarono il continente eurasiatico. La data è sorprendente, perché le prime tracce di una scrittura in lingua mongola risalgono appunto all' inizio del XIII secolo quando Gengis Khan (nato nel 1167) aveva ormai più di quarant'anni.
Finora gli storici escludevano che lui avesse potuto imparare l'alfabeto così tardi. «Al contrario - mi conferma Bayaryn in un'intervista telefonica dalla Mongolia - le tracce autografe che ho ritrovato sono scritte in uno stile e in un tono assolutamente inconfondibili. Le prove che ho accumulato hanno ormai superato il vaglio dei miei colleghi.
Questo rafforza la convinzione che bisogna rivedere il giudizio su Gengis Khan. Grazie alle ricerche di altri studiosi, si ha ormai la certezza che lui fosse anche un avido lettore di storia». L'attrazione verso il taoismo e l'interesse per la storia aggiungono una dimensione inedita a un personaggio già poco banale: fulmineo e irresistibile quanto Alessandro Magno ma ancora più fortunato nelle conquiste; per di più capace di tramandare il suo impero a due generazioni di eredi.
Ma la specificità del contributo originario dei mongoli alle nazioni sottomesse è sempre stata discussa.
Nel caso di Akhbar, per esempio, la grandezza del suo regno è stata attribuita soprattutto alla capacità di lasciarsi permeare dalle culture altrui, fino a fondere armoniosamente l' influenza indiana, persiana, araba. In anni recenti alcune importanti esposizioni hanno iniziato a rivalutare nel mondo intero l' arte mongola, ma spesso con qualche limitazione.
Anche l'attuale mostra intitolata "Il tesoro della Grande Dinastia", dedicata ai mongoli al museo dell'università di Pechino (in collaborazione con la Smithsonian Institution di Washington) in parte insiste sull'idea di un' arte fatta di prestiti altrui, originale soprattutto in quanto adattata ai bisogni di popolazioni itineranti che amavano gli oggetti preziosi trasportabili per lunghe distanze.
Voltaire contribuì a formare il mito di Gengis Khan con la sua commedia "L' Orphelin de la Chine" ambientata appunto durante l'invasione mongola.
Conquistato dalla civiltà cinese ne diventa un ammiratore e si lascia domare. La lezione, secondo il filosofo francese, è che la cultura ha sempre la meglio sulla barbarie.
La visione unidimensionale di Gengis Khan resiste nei secoli e se ne trova una traccia nella poesia "Neve" del fondatore della Cina comunista, Mao Zedong. E' un passaggio che colpì Alberto Moravia durante i suoi viaggi in Cina. Mao vi descrive il leader mongolo con il rispetto dovuto a un grande guerriero, sprovvisto però di cultura: "Gengis Khan / amato figlio del cielo per un solo giorno / non sapeva che tendere il proprio arco / di contro all' aquila dorata". «Ora possiamo ristabilire la verità - dice Bayaryn - e cioè che Gengis Khan era un avido lettore di storia.
L' autore è proprio lui: il capo delle orde barbare che terrorizzarono il continente eurasiatico. La data è sorprendente, perché le prime tracce di una scrittura in lingua mongola risalgono appunto all' inizio del XIII secolo quando Gengis Khan (nato nel 1167) aveva ormai più di quarant'anni.
Ora è dimostrato senza alcun dubbio che Gengis Khan scriveva; e la sua capacità di lettura era analoga ai pochi letterati mongoli suoi contemporanei. Poteva leggere la versione mongola di un sermone taoista tutt'altro che facile.
Questo rafforza la convinzione che bisogna rivedere il giudizio su Gengis Khan. Grazie alle ricerche di altri studiosi, si ha ormai la certezza che lui fosse anche un avido lettore di storia». L'attrazione verso il taoismo e l'interesse per la storia aggiungono una dimensione inedita a un personaggio già poco banale: fulmineo e irresistibile quanto Alessandro Magno ma ancora più fortunato nelle conquiste; per di più capace di tramandare il suo impero a due generazioni di eredi.
Nato nel 1167 nella regione del fiume Onon da una famiglia di guerrieri, è solo nel 1206 che Temujin poi detto il Gengis Khan (un titolo che letteralmente significa "il signore dell'universo") riesce a unire le varie tribù mongole di pastori nomadi che vagavano all'estremità orientale delle steppe asiatiche, a nord del deserto di Gobi. Sotto la sua guida in pochi anni le orde guerriere dilagano verso la Cina, travolgono ogni resistenza, soggiogano civiltà ben più antiche e organizzate nell'Asia islamica e occidentale. Nel 1215 cade Pechino, poi dopo i cinesi Han vengono sgominati a turno gli Jurchen e i Dangxiang, i persiani, i russi e i turchi.
La potenza di espansione non si smorza neppure dopo la sua morte che avviene durante una spedizione a Occidente nel 1227. Nel 1279 i suoi eredi continuano l' espansione verso Sud espugnando Hangzhou, la capitale cinese meridionale della dinastia dei Song: diventerà una delle città favorite dal Kublai Khan (1215 - 1294), e ai tempi di Marco Polo fu probabilmente la metropoli più popolosa, ricca e raffinata del mondo intero. Giunta al suo apogeo, e sia pure divisa tra dinastie diverse, la civiltà mongola o moghul irradia la sua influenza in India - sotto il regno illuminato e religiosamente ecumenico di Akhbar - e in Asia minore, si insedia nella pianura del Volga e fino all' Europa centro-orientale. Per la sua estensione geografica fu uno dei più grandi imperi di tutti i tempi.
Ma la specificità del contributo originario dei mongoli alle nazioni sottomesse è sempre stata discussa.
Nel caso di Akhbar, per esempio, la grandezza del suo regno è stata attribuita soprattutto alla capacità di lasciarsi permeare dalle culture altrui, fino a fondere armoniosamente l' influenza indiana, persiana, araba. In anni recenti alcune importanti esposizioni hanno iniziato a rivalutare nel mondo intero l' arte mongola, ma spesso con qualche limitazione.
Anche l'attuale mostra intitolata "Il tesoro della Grande Dinastia", dedicata ai mongoli al museo dell'università di Pechino (in collaborazione con la Smithsonian Institution di Washington) in parte insiste sull'idea di un' arte fatta di prestiti altrui, originale soprattutto in quanto adattata ai bisogni di popolazioni itineranti che amavano gli oggetti preziosi trasportabili per lunghe distanze.
Il pregiudizio antimongolo risale proprio al fondatore dell'impero Gengis Khan: un nome che rimane sinonimo di potenza ma anche di barbarie e arretratezza. L' unica superiorità riconosciuta da sempre al condottiero è la padronanza di una «tecnologia» militare avanzata rispetto ai suoi tempi: la forza d' urto di una cavalleria leggera molto rapida, in perenne movimento, con cavalieri addestrati all' uso di tutte le armi durante le loro veloci cariche. Incluse le armi da fuoco, che si affermano sotto la dinastia Yuan del nipote Kublai Khan.
A questo si aggiunge, per il fondatore Gengis Khan, la mitica ferocia di un guerriero che non esitava davanti a nessun massacro.
Una caratteristica che secondo gli storici ha le sue vere radici in un contesto demografico ed economico: i mongoli erano popolazioni minacciate nelle loro regioni originarie dalla carenza d' acqua e da un grave processo di desertificazione (problemi che si stanno riproducendo in quella stessa area proprio oggi, otto secoli dopo), quindi la loro spietata determinazione nella conquista territoriale scaturiva da una drammatica logica di sopravvivenza.
Voltaire contribuì a formare il mito di Gengis Khan con la sua commedia "L' Orphelin de la Chine" ambientata appunto durante l'invasione mongola.
In quell'opera Voltaire descrive un condottiero afflitto da un complesso d'inferiorità verso i cinesi, di cui dice: "In segreto il mio cuore/ è geloso del loro valore. / Vorrei esser simile ai vinti / benché sia io il vincitore".
La visione unidimensionale di Gengis Khan resiste nei secoli e se ne trova una traccia nella poesia "Neve" del fondatore della Cina comunista, Mao Zedong. E' un passaggio che colpì Alberto Moravia durante i suoi viaggi in Cina. Mao vi descrive il leader mongolo con il rispetto dovuto a un grande guerriero, sprovvisto però di cultura: "Gengis Khan / amato figlio del cielo per un solo giorno / non sapeva che tendere il proprio arco / di contro all' aquila dorata". «Ora possiamo ristabilire la verità - dice Bayaryn - e cioè che Gengis Khan era un avido lettore di storia.
Studiava i paesi conquistati. Cercava di imparare le lezioni degli imperi che lo avevano preceduto, non solo nell'arte della guerra ma anche in quella del governo».
L'incomprensione del suo personaggio sarebbe dovuta in parte all'atteggiamento che egli adottò verso l'élite letterata degli Han, i cinesi sottomessi.
A differenza di altri conquistatori stranieri - e contrariamente a quanto credeva Voltaire - i mongoli non si lasciarono mai "sinizzare" fino in fondo. Diffidavano degli intellettuali cinesi per timore che la loro influenza potesse minare dall'interno la solidità dell'impero. Gengis Khan e alcuni dei suoi discendenti adottarono perciò una discriminazione razziale, un vero e proprio apartheid etnico che regolava l'accesso ai ranghi alti delle loro gerarchie.
Una scelta probabilmente sbagliata, non solo per la reputazione postuma che ha afflitto Gengis Khan (l'emarginazione degli intellettuali Han fu interpretata come un generale disprezzo verso la cultura) ma soprattutto perché la mancanza di canali di comunicazione con la popolazione cinese provocò la caduta delle dinastie mongole travolte da furiose ribellioni contadine.
Oggi sono i mongoli dell'interno a ritrovarsi nella posizione di un'etnia debole e marginale, bisognosa di protezione contro la "sinizzazione" galoppante delle minoranze etniche. Il rovesciamento delle parti rende più facile raggiungere un giudizio obiettivo su Temujin detto il Gengis Khan. Di certo sapeva leggere e scrivere, come dimostra il manoscritto taoista citato da Bayaryn.
Tratto da "L"Impero di Cindia" - Federico Rampini (corrispondente della «Repubblica» da Pechino)
Le origini di Gengis Khan
Secondo il dottore in filologia, accademico dell'Accademia internazionale di Gengis Khan, il professor Karzhaubay Sartkozhauly, dal punto di vista genetico Gengis Khan è originario dell’Asia centrale.
Durante l'era degli Unni, i Mongoli e i Turchi erano un unico popolo e formavano un unico impero unno. Dopo la sua rottura, hanno preso strade separate. Ma per molto tempo hanno parlato la stessa lingua. Anche nel XII secolo, prima dell'era di Gengis Khan, esisteva una completa comprensione reciproca in termini di lingua tra i popoli mongolo e turco. E anche ai nostri giorni, nelle lingue mongola e turca, il 60-70% delle radici delle parole sono simili. Poi venne la religione. Abbiamo adottato l'Islam, i mongoli il buddismo. E le lingue cominciarono ad allontanarsi l'una dall'altra. Ora queste sono lingue completamente diverse.
Il fatto che Gengis Khan sia kazako è un'affermazione assolutamente amatoriale. Non è nemmeno un turco, ma un puro mongolo. Per tutta la vita ha combattuto per il suo popolo. Dopo aver unito tutte le tribù mongole e creato lo stato mongolo, giurò al suo popolo che ora avrebbe unito i turchi e avrebbe creato un enorme impero. Successivamente, quasi tutto il suo esercito era composto da turchi: Kereys, Naimans, Zhalairs, Merkits, ecc. C'erano solo il 5% di mongoli.
Tratto da: stanradar.com
Statue equestri di Gengis Khan e dei suoi guerrieri, in Mongolia
La tomba di Gengis Khan
I resoconti sugli ultimi momenti del celebre condottiero parlano di una fine incontrata sul campo di battaglia, quando nel 1227 si era spinto nello Yinchuan per combattere contro i Tangut. Forse caduto da cavallo, forse colpito da qualche freccia (come sosteneva Marco Polo). Alcuni, addirittura, sostengono che sia stata una trappola nascosta nel corpo di una donna, una schiava che faceva parte del suo bottino di guerra, alla quale Gengis Khan si era unito.
Oltre alle modalità, è misterioso anche il luogo della sepoltura. Secondo una tradizione piuttosto popolare sarebbe nelle montagne di Burkhan Khaldun, luogo molto caro al condottiero perché, durante uno scontro in cui aveva avuto la peggio, era riuscito a trovare rifugio proprio lì.
Ma il luogo esatto non è noto.
Anzi, è uno dei segreti meglio custoditi in assoluto perché, se si deve dare credito alle leggende tramandate, non solo la tomba non avrebbe alcun segno (né templi, né pietre, né altro), ma nessun testimone sarebbe rimasto in vita abbastanza a lungo per poterlo raccontare: i soldati che scortarono il corpo fino alla sepoltura uccisero tutte le persone (e perfino gli animali) che incontrarono nel loro viaggio. Massacrarono anche chi si era presentato al funerale. Loro stessi furono uccisi da un altro gruppo di soldati che, a sua volta, fu ucciso da un terzo gruppo. I cavalli furono lasciati correre sul sito della tomba per cancellarne ogni traccia ..
Tratto da: www.linkiesta.it
Tratto da: www.linkiesta.it
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