La prima maschera me l’hanno regalata i miei genitori quando ero piccolo, si chiama Non Piangere. La uso ancora.
La seconda maschera serve a nascondere la vergogna. Ce l’ho allacciata alla nuca con tanti di quei nodi che pare saldata.
La terza maschera è omologata. Si può comprare, costa poco, ce l’hanno tutti. È una maschera fatta di serie tv, libri letti, cose viste e sentite. Si toglie e si mette facile. Quando esce un modello nuovo la butto e la cambio.
La quarta maschera fa ridere solo a guardarla. L’ho messa un giorno, è piaciuta e non l’ho tolta più.
La quinta maschera ha una faccia incazzata. La uso ai semafori, sui social, per menare per primo e menare due volte. Da un po’ di tempo la metto sempre più spesso.
All’ottava maschera ho insegnato a pronunciare “ti amo”. Mi basta metterla per dirlo e farlo sembrare vero.
Sulla nona maschera ci ho lavorato un sacco e ho dovuto scartare una marea di prototipi, ma adesso funziona. Adesso piace proprio a tutti.
La decima maschera è uno specchio, asseconda pregiudizi e alimenta stereotipi. La uso per fare amicizia.
L’undicesima sembra me in tutto e per tutto tranne per un paio di particolari fondamentali. Ne vado molto fiero. La tiro fuori quando qualcuno mi chiede di fargli vedere il vero Nicolò.
La dodicesima è solo ansia, migliaia di insetti ronzanti e brulicanti sopra quella che credo sia carne marcia. Non l’ho fatta io, un giorno semplicemente mi è caduta addosso.
La tredicesima è composta di fatture, di codici, di username, di caffè alla macchinetta e di professionalità. È la maschera del lavoro. Ha l’espressione di chi sa esattamente cosa sta facendo.
La quattordicesima è contorta in un urlo perpetuo. La metto sempre sotto alla tredicesima.
La quindicesima è uno dei pezzi più rari, difficilissima da fabbricare. Se la metto provo vergogna per la mia felicità.
La sedicesima è bianca e pulita come un osso spolpato. Ci copro tutte le cose che non dico.
La diciassettesima è di pelle e serve per il sesso. Non l’ho assemblata io. Me l’hanno messa addosso i porno.
La diciottesima è molto utile, serve per farmi i cazzi miei. La metto e fa tutto lei, risponde, domanda, ride nei momenti giusti. Intanto dietro io sbrigo altre faccende.
La diciannovesima è la porta di un caveau e pesa cento tonnellate. Tiene dentro un paio di paure e qualche dolore. Neanche volendo saprei come toglierla.
La ventesima è vuota e terrificante. Non la metto mai, ma c'è.
Ogni tanto penso che da qualche parte, sotto tutte queste maschere ci dovrei essere io.
Poi cambio maschera e il pensiero scompare.
Nicolò Targhetta
Fonte: www.facebook.com
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