Nella tarda serata del 24 Aprile 1950 un operaio, Bruno Facchini (40 anni), si trovava appena fuori la propria abitazione (Abbiate Guazzone, frazione di Tradate, Varese) quando fu attratto da uno strano scintillio, poco dopo che era cessato un forte temporale: credendolo un inconveniente di una vicina linea elettrica, si diresse verso la fonte di luce.
Arrivato sul posto, vide uno strano oggetto al suolo: era come una palla schiacciata, con la superficie “quadrettata da strisce verticali ed orizzontali, posti ad intervalli regolari”, che sembrava toccare terra solo tramite una scaletta esterna sorretta da due tiranti e conducente ad un’apertura rettangolare, illuminata, e dotata di un “portello aperto”.
All’interno v’era un’altra scala, come pure dei tubi, delle bombole collegate in fila e dei manometri. L’oggetto era alto circa dieci metri: il teste si trovava a quattro/cinque metri di distanza. Presso la scaletta v’erano due esseri, un terzo era posto sopra una specie di “elevatore meccanico” e stava saldando un “mazzo” di tubi esterni all’ordigno, producendo lo scintillio che aveva notato il testimone.
Gli individui indossavano degli scafandri e delle maschere trasparenti all’altezza degli occhi: all’interno pareva esserci del “liquido”, attraverso cui si notava un viso di carnagione molto chiara. In corrispondenza della bocca penzolava un tubo terminante con un bocchettone; la loro altezza era di circa 1,7 metri ed apparivano simili ad esseri umani ...
Il testimone, credendoli piloti, si mostrò, chiedendo loro se avessero bisogno d’aiuto: gli esseri compirono, allora, strani gesti, emettendo suoni grutturali. Spaventato il teste scappò, notando che uno degli individui aveva impugnato un oggetto che teneva al collo, puntandoglielo contro: da esso si sprigionò un raggio che lo colpì alla schiena, facendolo cadere. Notò in seguito che i tre (o quattro) esseri rientrarono nell’oggetto, chiudendo il portello esterno: il ronzio precedentemente emesso aumentò d’intensità, finché l’ordigno decollò a forte velocità, sparendo alla vista.
Al mattino, tornato sul luogo, il Facchini trovò quattro orme circolari di un metro di diametro ciascuna, poste in quadrato, a sei metri di distanza l’una dall’altra.
Alcune zone d’erba erano bruciacchiate e, fra esse il teste raccolse alcune schegge di metallo: quest’ultime, fatte analizzare, furono definite come “metallo antifrizione”.
La Domenica del Corriere, 24 agosto 1952 : la prima fonte del caso
Esiste più di un’inchiesta sul caso, ma tutte svolte parecchi anni dopo l’evento (la più vecchia - e più completa - fu pubblicata sulla neonata rivista specializzata "Dischi Volanti" nel 1960 ed eseguita da un appassionato dell’epoca, il signor Carminati Ghidelli. Pare, comunque, che lo stesso Alberto Perego abbia precedentemente parlato con il testimone, come si può desumere da un articolo apparso nel 1958 sulla rivista “Specchio”. Un ulteriore contatto con il teste, poco tempo dopo la prima pubblicazione dell’evento, fu condotto da Renato Vesco, che fece eseguire le famose analisi sui frammenti, definiti come “metallo antifrizione”. Non si ha notizia di fonti giornalistiche immediatamente successive all’avvenimento, la più vecchia e’ l’articolo pubblicato su “La Domenica del Corriere” del 24 Agosto 1952, due anni dopo l’evento.
Un'indagine condotta nel 2008[1] nell'ambiente familiare del testimone non ha permesso di capire quando e come il caso venne a conoscenza dei giornalisti: sembra, comunque, che ciò avvenne parecchio tempo dopo l'evento e attraverso un conoscente del testimone che presumibilmente riferì l'accaduto a qualche giornalista (in particolare un reporter della trasmissione radiofonica "Il Gazzettino Padano", che sarebbe arrivato a Tradate con un'automobile della RAI per un'intervista, salvo poi non trasmetterla perché, secondo i vaghi ricordi raccolti, la notizia avrebbe potuto impaurire la gente).
Il testimone, dopo avere informato la Questura di Varese dell’accaduto (ricevendo un invito, a quanto pare, a “non dire niente”) parlò della sua esperienza con amici e colleghi di lavoro (una fonte riferisce che proprio uno di essi era parente del giornalista che scrisse l’articolo della “Domenica”, ma il particolare non è emerso nell'inchiesta del 2008). Nonostante vi siano molti particolari relativi all’aspetto descrittivo dell’esperienza (apparentemente anche troppi in relazione al lasso di tempo intercorso prima che il teste la rendesse nota ai giornalisti, ma il teste dichiarò sempre di conservare un ricordo molto vivido della vicenda), scarseggiano le informazioni relative al teste e, soprattutto, a quello che avvenne dopo l'evento.
E’ opportuno ricordare un tentativo di spiegazione proposto da Renato Vesco: l’osservazione relazionata dal teste sarebbe stata connessa ad un aereo sperimentale (nella zona vi sono alcuni aeroporti). Le caratteristiche dell’evento, in particolare i dettagli “tecnologici”, sembrerebbero confermare parzialmente una tale ipotesi.
Alla fine degli anni cinquanta il giovane ufologo milanese Umberto Corazzi intervistò il testimone e si fece consegnare un pezzetto dei famosi residui metallici, reperto successivamente andato perso.
Nel 1962, il giornalista Bruno Ghibaudi si recò a trovare il testimone (in compagnia di un amico che lo aveva già visitato qualche anno prima: forse Perego?) per stilare un articolo successivamente apparso su “La Settimana Incom”. Emerse cosi’ che dei non meglio identificati “vicini” avrebbero assistito all’intero episodio, pur non desiderando assolutamente di venire coinvolti nella vicenda: ciò fu confidato al testimone alcuni mesi dopo la sua esperienza.
La moglie del teste dichiarò di essersi messa, in seguito, ad osservare costantemente il cielo per vedere qualcosa come quello osservato dal marito: fu, infatti, testimone di due successivi avvistamenti. Il figlio, inoltre, si sarebbe occupato saltuariamente della questione “dischi volanti”, al contrario del padre, che non ne voleva sentirne parlare: questo particolare, però, non fu assolutamente confermato dalle dichiarazioni di uno dei figli nel 2008, ulteriore elemento di dubbio nei confronti del resoconto pubblicato da "La Settimana Incom".
Infatti, l’articolo sembra riprendere molti punti presentati, due anni prima, sulla rivista “Dischi Volanti”, dal già citato Carminati Ghidelli per cui può sorgere qualche dubbio sul reale contenuto informativo di tale resoconto, peraltro piuttosto strano per alcune dichiarazioni attribuite al Facchini e che mal si conciliano con informazioni precedenti e successive raccolte da altri inquirenti (per esempio l’inchiesta condotta dall'ufologo romano Ezio Bernardini nel 1981, che non ha portato alla scoperta di nuovi particolari sul caso).
Il teste dichiarò di non essere stato più bene dopo quella notte: ogni tanto avrebbe regolarmente accusato delle “vampate calde” sul viso, pur non avendo alcun sintomo di febbre. Circa sette giorni dopo la sua esperienza, la sua schiena, proprio nella parte dopo aveva sentito l’"urto" che lo aveva scaraventato a terra, diventò prima tutta nera, poi tutta gialla, mentre per circa un mese l'uomo sarebbe stato molto male, tanto da doversi curare con costose medicine.
La sorella del testimone, nel 2008, confermò di avere visto suo fratello qualche giorno dopo l'episodio e di avere notato, al pari di altri parenti, il suo viso giallastro, oltre che un atteggiamento più strano del solito, che lo faceva stare in disparte. Di certo la sua vita cambiò in peggio dopo quella notte (tanto da dire di avere commesso uno sbaglio madornale nel raccontare quanto aveva visto): in paese divenne oggetto di scherno e di battute.
Non esistono ragionevoli motivi per credere che l'uomo si inventò di sana pianta la storia. Tutt'altro: l'atteggiamento del testimone (che certamente non cercava visibilità) e quanto avvenne in seguito fanno ritenere che abbia veramente avuto un'esperienza inusuale, sulla cui natura, però, ancora oggi non è possibile pronunciarsi alla luce dei dati disponibili.
Ulteriori dettagli sulle dichiarazioni di Facchini rilasciate all'epoca all'incaricato delle indagini, direttamente alla fonte: misterobufo.corriere.it
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