domenica 18 ottobre 2020

Una crescita infinita in un mondo finito è impossibile

Deve esserci una sorta di tacito accordo in politica che impone l’utilizzo della parola ‘crescita’ ogni due frasi.

Crescita (in gergo economico) è diventato il vocabolo che unisce tutti gli americani – repubblicani, democratici, indipendentisti, liberali – diventando sinonimo di benessere e prosperità. 

Misurata dalla crescita del prodotto interno lordo (PIL), la crescita economica è diventata il Sacro Graal del mondo capitalista. 
La società è così pervasa dalla convinzione generale che più ricchezza materiale viene accumulata, maggiore è il benessere di tutti. 

Questa visione persiste nonostante sia solo l’1% dei nuclei familiari americani ad aver beneficiato del 93% di tutta la crescita economica del 2010, mentre milioni di persone devono fare i conti con la povertà e la perdita delle loro case.

Nonostante l’assurda iniquità che caratterizza la distribuzione della crescita economica, è raro trovare un economista che non la proponga come cura di tutti i mali della società, secondo l’idea che grazie ad una maggiore ricchezza si può comprare un migliore livello di benessere...


Citando Thom Hartmann nel lungometraggio ‘I Am’, questa percezione è ‘fondata su una verità e su una menzogna della nostra cultura. La verità è che se una persona è nuda e al freddo, di notte all’aperto, sola nella foresta e sotto la pioggia, è infelice. Di questo siamo tutti d’accordo. E se qualcuno gli apre la porta di casa e dice ”Vieni dentro, siediti accanto al fuoco, prendi pure dei vestiti, una coperta, un letto e un piatto caldo”, ecco che con cose piccolissime ma che fanno la differenza, quella persona da infelice diventa subito felice. 
Sebbene la verità di questa affermazione può essere riconosciuta dalla maggior parte delle persone, la ricerca collettiva della crescita economica fine a se stessa dimostra la mancata comprensione del concetto. Il problema nasce quando i bisogni primari sono stati soddisfatti. La felicità non deriva dal consumo di una maggiore quantità di beni materiali, ma da tutto ciò che non può essere comprato col denaro, cioè le relazioni umane, l’amore, il rispetto, l’essere indispensabili per gli altri e molti altri fattori che rendono la vita degna di essere vissuta.

Ma allora perché la crescita economica è inseparabile dal capitalismo nel mondo che conosciamo? 

Quattrocento anni fa John Locke, uno dei padri fondatori del capitalismo, osservò che il cittadino medio non possedeva beni di prima necessità come lenzuola, libri, pentole e padelle, utensili vari e così via, mentre le risorse erano abbondanti e illimitate per qualunque scopo e obiettivo dell’epoca.

Il capitalismo è dunque nato per facilitare la trasformazione delle materie prime in prodotti che potessero essere utilizzati per rendere più facile la vita quotidiana dell’intera popolazione; si basa infatti sull’ideologia che una crescita esponenziale è necessaria per trovare gli incentivi che sostengano la continua ricerca di nuovi beni e servizi realizzabili e vendibili ad un margine di profitto. 

In linea generale, chi possiede capitali in esubero cerca un modo per investirli e ricavarne così un guadagno. Un tasso di interesse viene dunque aggiunto all’investimento per compensare l’utilizzo temporaneo del capitale, il che significa che agli investitori deve essere reso più denaro di quanto ne avessero inizialmente messo a disposizione.
Dal momento che il denaro è creato dai prestiti (debiti) che vincolano a ripagare più soldi di quelli inizialmente stanziati, il sistema economico è continuamente in deficit poiché costretto a ripagare gli interessi dei debiti precedenti e quindi sotto costante pressione a ricorrere a nuovi prestiti per restituire gli interessi di quelli precedenti. 
Quando finisce il denaro per ripagare gli interessi, ecco che le banche falliscono e il sistema economico implode causando licenziamenti, bancarotte, pignoramenti e congelamenti dei crediti di mercato.

Nel contesto di una società in cui i beni utilizzabili e i servizi sono scarsi (come nella società di Adam Smith e John Locke), questo sistema funziona alla perfezione. 
Quattrocento anni fa vi era abbondanza di risorse naturali dalle quali attingere per creare prodotti e servizi da poter vendere. 

Oggi però viviamo in un mondo nel quale i mercati sono quasi completamente saturi, le multinazionali spendono miliardi di dollari ogni anno per convincere i consumatori di aver bisogno di nuovi prodotti, i quali vengono persino progettati per consumarsi velocemente e creare una condizione di consumo ciclico. 

Quanti paia di scarpe, vestiti, lenzuola, stoviglie rimangono inutilizzati nei magazzini? Sono stati creati persino dei nuovi reality show per analizzare l’ossessione che le persone hanno per le cose materiali. 
A quanto pare abbiamo raggiunto il limite fisico, culturale e spirituale della crescita. Quindi cosa ci aspetta? 

Finché l’attenzione collettiva sarà volta alla continua ricerca della crescita economica, i problemi socio-ambientali saranno destinati ad aumentare. 

È quindi necessario sensibilizzare la società a nuove forme di economia post-capitalista basata su ‘cose che fanno la differenza’, iniziando a redistribuire le risorse in maniera collettiva e innovativa, per poter creare un mondo all’insegna della prosperità e della sostenibilità per tutte le generazioni future.

Fonte: eccocosavedo.blogspot.it

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